L’elettricità dei Rainbow Bridge porta alla luce la loro seconda creatura: “Lama”; una creatura dal cuore inquieto e rumoroso. Terminato lo strumentale iniziale, simbolo del ponte che congiunge un passato fortemente hendrixiano con un futuro che la band prova a costruire in maniera più personale, cercando di assorbire nel proprio magma sonoro anche elementi estranei alle sfere dell’hard-blues psichedelico e del grezzo e viscerale stoner rock. Una lotta tra i sentimenti e la ragione che porta e potrà portare a risultati davvero interessanti; ciò non significa affatto disconoscere il proprio background o le esperienze passate, ma ricomporre il tutto in maniera completamente diversa, anche alla luce di quelli che sono i tempi attuali, di ciò che ci è accaduto e ciò che ci auspichiamo per il nostro futuro.
“Storm”, pur essendo vicina al loro sound più tradizionale, denso di sonorità sporche e distorte, tenta contemporaneamente di non perdersi eccessivamente dietro le divagazioni psichedeliche, ma di dar vita ad un brano che, pur senza rinunciare al suo carico lisergico, risulti essere più compatto, con una ben definita collocazione temporale e spaziale. La successiva “Day After Day” spinge ancor di più la band verso i territori inesplorati del proprio inconscio; li obbliga e ci obbliga a porsi le domande più scomode ed a mettere in discussione il proprio stesso operato; non è ancora giunto, certo, il momento dei bilanci definitivi, la strada può essere ancora cambiata, ma è chiaro che la sofferenza, un certo senso d’urgenza e forse il timore che il tempo ci svuoti del tutto, rendono questo brano ricco di pathos. Drammaticamente siamo nel punto più alto del disco, ma le tensioni non sono finite, perché se “Day After Day” ci pone, in maniera cruda, dinanzi al nostro passato e ad un futuro ignoto, la seguente “Words” indaga sulla nostra capacità ad essere sinceri ed empatici con il prossimo. Oggi può esserci dolore, ma c’è anche la consapevolezza di essere in grado di trasmettere e ricevere amore. Ma la paura di restare soli è perennemente dietro l’angolo. Se in “Day After Day” dominava incontrastato il Tempo, in “Words” a farla da padrone è lo Spazio.
La successiva breve “Spit Jam” ci permette di riprenderci un attimo, per poi ritrovarci nuovamente in bilico a fare i conti con i diavoli che si agitano nel nostro animo. I Rainbow Bridge ci portano nel bel mezzo dell’America del Sud, dove modernità ed antiche credenze si mescolano tra loro; dove il voodoo incontra il gospel, il blues, il rock; dove, in un incrocio fuori mano, Robert Johnson stringe il suo patto con Mefistotele in persona.
Musica nata sui fiumi, destinata a scorrere ed andare lontano.
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