lunedì, Dicembre 30, 2024
Il Parco Paranoico

Da “Facelift” a “The Fragile”, gli anni Novanta

Dalla scatola degli anni novanta, il 28 Agosto del 1990, venne fuori “Facelift”, il primo album degli Alice In Chains da Seattle, periferia del grande impero; un suono sporco e rumoroso; una via di fuga alle ansie quotidiane che consumavano l’anima di chi si sentiva continuamente estromesso, isolato, ingiustamente etichettato. Forse è heavy-metal; forse è hardcore; forse è hard-rock psichedelico; sicuramente non ci sono synth e tastiere; sicuramente c’entra il punk; è una cosa viscerale, ruvida, molesta… E qualcuno, ad un certo punto, mise in giro la voce che tutto quel casino fosse il “grunge”. Non è che ci fossero ben definiti ed univoci elementi tecnici e stilistici in comune tra le tante band dell’epoca arruolate tra le schiere grunge, ma tutte, in un modo o nell’altro, venivano fuori da una scatola piena di merda e sangue. E tanti, alla fine, non riuscirono mai ad uscirne completamente, finendo così travolti ed affogare. “We Die Young”, uscita come singolo anticipatore dell’album, nel luglio del 1990, ne può essere, a ragione, un simbolo, una finestra spalancata, brutalmente, sulle strade moribonde dei tossici; sul nuovo e giovane proletariato urbano; su una manovalanza, ignara e sprovveduta, di ragazzini-spacciatori destinati, ovviamente, ad affogare nel loro dannato ed onnivoro presente, con poche speranze di risollevare il capo.

Ma altre finestre si stavano aprendo, molte delle quali erano scandite dai suoni e dai ronzii dei dialup modem a 56k. Era una rete ancora primordiale, le sue maglie non erano ancora fitte come lo sono diventate oggi, non esisteva ancora il mostruoso Google a fagocitare ed indicizzare gli esseri umani e le informazioni personali, ma era evidente che ciò che stava succedendo avrebbe cambiato per sempre il nostro modo di vivere, di comunicare, di conoscere, di informarci. Ed era chiaro che un processo di tale portata non poteva essere davvero aperto e condiviso, perché gli interessi in gioco erano e lo sono ancora troppo elevati, sia in termini di risorse economiche e finanziarie, sia in termini di libertà ed auto-determinanzione delle classi sociali più deboli e numerose. I tanti sul cui lavoro si basa il benessere dei pochi privilegiati, i quali non avevano e non hanno alcuna intenzione di mettersi in gioco e rinunciare al proprio potere ed alla propria influenza sulle scelte e le politiche perseguite dai governi. Da allora è tutto un affannarsi, è tutto un rincorrere le ultime diavolerie tecnologiche, è tutto un entrare prepotentemente nelle nostre vite e scandire le giornate delle persone comuni in base al perverso dictat neo-liberista del work/buy/consume/die. Lavora, compra, consuma, muori.

Ma ci fu anche chi iniziò a non accontentarsi di ciò che volevano farci vedere in superficie, chi iniziò a porsi domande sui fili invisibili che tenevano su le tante marionette del decennio. Un decennio caratterizzato dal fatto che, oltre all’incremento delle connessioni e delle relazioni tra la gente, anche le eminenze grigie che governavano e condizionavano il mondo iniziarono a collaborare tra loro in maniera sempre più spregiudicata: è il lato più oscuro e nefando di quel processo che sarà poi definito globalizzazione. Aldilà di tutti gli X-Files e le teorie del complotto, gli anni Novanta sono gli anni dei Radiohead, dei Soundgarden e dei Pearl Jam e della consacrazione di band quali i R.E.M. ed i Nirvana, dell’elettronica dei Chemical Brothers, oltre che dell’esplosione delle sonorità nu-metal e degli Slipknot, fino a giungere al suo epilogo, il 21 Settembre 1999, con l’uscita del quarto e doppio album dei Nine Inch Nails, “The Fragile”. Un album che, prendendo atto delle torbide nubi che stavano per avvolgere il nuovo millennio e che ci consegnavano un mondo che aveva nuovamente ripreso a sanguinare, nel nome di conflitti etnici e religiosi, mentre l’unico ed ormai incontrastato padrone a stelle e strisce riteneva – erroneamente – di essere inattaccabile, esprimeva il bisogno sincero della gente ad avere dei riferimenti assoluti, dei valori, degli ideali, che potessero salvarci dal caos tecnologico, nel quale sembrava dovessimo affogare, a causa di queste maledette multinazionali, pronte a stuprare persino le stelle del cielo. “Starfuckers, Inc.” è un urlo lancinante contro questi nuovi padroni, interessati a comprarsi le nostre anime ed ad avvolgerle nel cellofan, interessati a tutto ciò che è vanità, forma ed apparenza e disposti, per il loro personale tornaconto, a spegnere persino le luci che ci fanno compagnia la notte.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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