In una fredda serata di fine Novembre la cripta del Duomo di Avellino ha ospitato un concerto dalle sonorità calde ed emozionanti, quelle del progetto audio-visuale dei Jerusalem In My Heart. Un evento imperdibile per chi ama le contaminazioni: innanzitutto tra le affascinanti ed antiche melodie del mondo mediorientale e la fluidità e le ambientazioni meditative della musica elettronica contemporanea; successivamente tra la componente prettamente sonora e quella visuale dello spettacolo, con le sequenze di immagini, a volte dalle tonalità più accese, a volte in bianco e nero, che si susseguivano, sovrapponendosi tra loro ed accompagnando la musica. Vi è anche un terzo aspetto della contaminazione, con caratteristiche più sociali e politiche, il cui obiettivo è quello di mettere in evidenza come le contrapposizioni tra le culture, i popoli e le loro storie, siano sempre assurde e strumentali, utili solo a coloro che intendono trarre vantaggi economici da tali contrasti, accrescendo la loro influenza ed il loro controllo sulle persone comuni. L’arte, in tal senso, è uno degli strumenti più potenti per appianare le differenze, vincere le reciproche diffidenze, far comprendere alla gente come, spesso, i propri desideri, le proprie necessità, i propri sogni siano, fondamentalmente, i medesimi, a qualsiasi latitudine. La cripta del Duomo ha in sé un potere fortemente evocativo ed ovviamente spirituale; un luogo che, normalmente, è un luogo di silenzio e di preghiera, si apre al mondo esterno, alle sue ferite sanguinanti, alle sue intolleranze e permette alle persone di aggregarsi, emozionarsi, avvicinarsi, grazie ad i suoni, alle parole ed alle immagini che, unendosi, riescono a superare la semplice somma algebrica delle parti ed amplificare la loro forza.
Radwan Ghazi Moumneh ci permette di attraversare il deserto, ci libera dai veli che, quotidianamente, opprimono la nostra vista, impedendoci di vedere quanto sia meraviglioso il mondo, proprio grazie alle sue diversità, alle sue diverse interpretazioni, alle sue diverse voci, le facce diverse dello stesso diamante. Ritmi tribali della musica araba, atmosfere ipnotiche, free-jazz, elettronica sperimentale, accompagnano il nostro viaggio mentale, mentre le immagini di Charles-André Coderre danzano dinanzi ai nostri occhi: il rosso, il verde, il bianco, il nero, gli uomini e le donne, gli alberi e le città, le linee ed i solidi, ci passano davanti e ci entrano dentro. L’Arabia, il deserto, Beirut, Montreal, Avellino, il sole cocente, il Duomo, il freddo di questo 27 Novembre, possiamo davvero stringere tutto il mondo tra le dita.
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