Verdena, Bud Spencer Blues Explosion e Calibro 35, sono tra i pochi esempi di musica italiana di buona fattura; fortunatamente, ben distanti, sia dall’osceno it-pop dalle insulse pose finto-cantautoriali, sia dagli zombi che, purtroppo, complici la modestia e la superficialità della televisione, dei giornali e delle radio tricolori, continuano ancora, con presunzione che lascia sbigottiti, ad andare in giro per il Bel Paese a far danni. Fabio Rondanini e Adriano Viterbini, rispettivamente batteria e chitarra, forniscono il groove denso e corposo su cui la voce di Alberto Ferrari può ingegnarsi e divertirsi a ricercare svariati e interessanti punti su cui appigliarsi.
La loro musica ha in corpo sonorità diverse: funk e rock psichedelico vengono innestati sulle ritmiche tipiche della musica tribale africana, che, ovviamente, è reinterpretata attraverso la lente dei tempi e delle dinamiche attuali. Ciò la rende più fluida e più vicina a coloro che ascoltano, quotidianamente, forme di rock più desertiche, sporche e distorte. L’album è ricco di divagazioni e passaggi più sperimentali, che favoriscono la connessione di ogni singolo ascoltatore con il proprio inconscio, liberandosi, almeno per la durata di queste nove canzoni, dagli ordinari meccanismi giornalieri, che, oggi, sempre più spesso, più che la conseguenza di nostri reali bisogni, sono il frutto malato dello stile di vita che la società neo-liberista dominante, a carattere globale, impone alle persone comuni.
Il disco è stato realizzato senza alcuna barriera precostituita, immaginando una terra immensa, i cui soli confini sono gli orizzonti; una terra in cui lo stesso rock ha parte delle sue radici, per cui è un po’ come guardare alle proprie origini, ad un passato lontano, con i piedi, però, ben piantati al nostro attuale presente e con lo sguardo rivolto verso il futuro.
L’Africa, quindi, non è solo il riferimento musicale attorno al quale costruire la propria musica, ma assume anche un significato più politico e liberatorio, una sorta di via di fuga verso un territorio che, ai nostri occhi occidentali, appare ancora più o meno incontaminato, nonostante il fatto che, alle ingerenze delle ex potenze coloniali e poi degli Stati Uniti, oggi si siano aggiunte prepotentemente anche quelle della Cina. Un continente estremamente giovane, ricco di risorse naturali e di culture variegate, a cui, oggi, siamo strettamente legati e che potrebbe divenire, in un futuro non troppo lontano, la nostra unica possibilità di salvezza. Musica e politica, nel solco della tradizione afro-beat, coesistono, una accanto a l’altra, con un obiettivo comune: salvare l’Africa è anche salvare il mondo intero. I nostri tre cavalieri Rondanini / Viterbini / Ferrari chiamano questo loro nuovo progetto “I Hate My Village”; ancora una volta un chiaro omaggio a quel continente; questo, infatti, era anche il titolo di una pellicola nigeriana degli anni ottanta. L’album, da cui, attualmente, è stato pubblicato il primo singolo, uscirà per “La Tempesta International” il 18 Gennaio del 2019. Nel frattempo, in attesa di poter ascoltare le canzoni, vi proponiamo due diversi lavori: il recente “Deran” di Bombino (2018) e il più datato “Expensive Shit” (1975) del nigeriano Fela Kuti, uno dei padri fondatori delle contaminazioni tra musica popolare africana e rock.
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