Gennaio ha il cuore gelido, ma ci sono luoghi e contesti che, incuranti della morsa del freddo, permettono alle nostre anime, perennemente intrappolate negli obblighi, nei ruoli, nelle convenzioni imposte da una società che, ormai, aldilà della maschera d’ipocrisia e buonismo, ha deciso di seguire a pieno i precetti della religione neoliberista, di riaccendere la fiamma dell’autenticità. Il Ludovico Van, a Montemiletto, nel cuore pulsante e schivo degli Appennini, in quella che fu terra di briganti, che è ed è stata terra di partenza ed emigrazione, rappresenta un’alternativa; è la prova reale di come, nonostante le nostre convinzioni ed i pressanti condizionamenti esterni, sia possibile decidere di cambiare strada e di invertire il senso del proprio cammino. Spesso, però, preferiamo adattarci, fare del vittimismo, sottometterci e nascondere le nostre insoddisfazioni e le nostre colpe dietro la porta di casa, piuttosto che metterci in gioco, esporre i nostri sentimenti, rinunciare al proprio orgoglio ed alla propria disperazione ed agire, almeno per una volta, nel nome della verità. La verità è, infatti, l’unico passaggio possibile per sentirsi in pace con sé stessi e tentare di creare relazioni e legami col mondo circostante, cercando, contemporaneamente, di realizzare i propri sogni.
Lo spettacolo dei Cattivo Costume sintetizza, nella sua dimensione più teatrale ed in quella più musicale, il bisogno degli esseri umani di riacquistare il controllo delle proprie scelte e delle proprie esistenze. È uno spettacolo di resistenza umana, il cui obiettivo è liberarci dai piccoli e grandi menzogneri tiranni che condizionano le nostre vite. Certo, esiste un sistema politico ed economico sovranazionale che tenta in tutti i modi di imporre le sue regole e sfruttare le persone; inoltre a questi grandi tiranni si sovrappongono, spesso, i piccoli tiranni che vivono nel nostro inconscio e che ci costringono a strisciare nella paura per tutto ciò che è strano, diverso, non riconducibile a nessuno dei classici schemi che ci vengono imposti nel nome di Dio e della famiglia, dell’economia e del lavoro, delle tradizioni e delle leggi, del bene assoluto e dell’universalmente giusto. Chiunque cerca di sfuggire è automaticamente colpevole, cattivo, marcio, destinato al pubblico disprezzo.
Il Giovanni dei Cattivo Costume siamo noi; noi che scegliamo di aprire gli occhi del cuore e della mente e non accontentarci più delle favole che ci raccontano per tenerci buoni nei nostri bei salotti, a guardare gli schermi di un pc, un tablet, uno smartphone o una tv di ultima generazione. La nostra vita non è la migliore vita possibile; le nostre scelte non sono le uniche scelte giuste; possiamo pretendere e volere altro, possiamo decidere di scegliere e conoscere altro, possiamo tentare di vivere l’amore ed il lavoro, le relazioni familiari e sociali, in una maniera nuova, costruendola giorno dopo giorno a nostro piacimento, piuttosto che dover finire ad essere omologati nei secolari ruoli che questi farisei-tiranni tentano di imporre, sfruttando anche i nuovi mezzi messi a disposizione dalla tecnologia, alle persone comuni.
Il Giovanni dei Cattivo Costume, così come il Miché di De André, rappresenta l’atto estremo di rottura, anche a costo di perdere sé stesso e tutto ciò che gli sta a cuore.
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