Il passato ha sempre un’aurea mitica, soprattutto quando si vive un presente liquido che crea e distrugge i suoi miti nel giro, spesso, di poche settimane. Non siamo ancora giunti ai 15 minuti di celebrità cadauno, ma ci stiamo andando sempre più vicini e nell’oceano di informazioni, spesso false; di idoli momentanei destinati a durare il tempo di un paio di apparizioni televisive; di influencer da sacrificare alle divinità moderne di Neil Gaiman; di esistenze destinate a scivolare nell’oblio, il polveroso scatolone dei ricordi passati ci appare come la migliore medicina possibile. Ma potrebbe essere solo un palliativo, qualcosa per confondere le ansie indotte da questo mondo artificiale, con le fottute storie di band che – a modo loro – hanno raccontato davvero una parte della nostra storia umana. Ultimamente abbiamo potuto ripercorrere alcuni passi delle vicende dei Queen e successivamente dei Motley Crue, ora si parla con insistenza dei Sex Pistols, anche se John Lydon, in verità, ha già dichiarato il suo dissenso, sputando veleno su quella che è, aldilà degli aspetti artistici, storici ed umani, solo l’ennesima trovata per fare quattrini alle nostre spalle e sulla nostra pelle. Se il film sui Queen cercava, soprattutto, di creare consenso trasversale, omettendo o lasciando solamente intuire gli aspetti più negativi ed oltraggiosi della favola, quello sui Motley Crue è più crudo, cinico e violento, più vicino alle prospettive, ai sogni ed agli incubi di questi quattro coglioni. In fondo non si può riempire di zucchero ogni stronzata; è questo il messaggio che, in un certo senso, è alla base del film, come si può intuire anche dalle ultime e recenti dichiarazioni di Nikki Sixx, il bassista.
Meglio essere onesti, con sé stessi innanzitutto, meglio guardare il mostro in faccia, invece di fingere che non esista e vada sempre tutto bene. È così che i rapporti si disintegrano, le relazioni diventano culle di rancore e sottomissione, le famiglie si trasformano nel buco nero che succhia le nostre energie più positive, per poi lasciare che tutto esploda in tragedia. Deve essere necessariamente così? No. Ma solamente se affrontiamo il mostro, possiamo salvare quella che sentiamo essere la nostra famiglia, aldilà di tutte le definizioni, i precetti religiosi, le facciate d’ipocrisia che piacciono tanto ai moralisti e ai depravati. Ben venga, quindi, tutta la nostalgia per una vecchia foto, un amore, un’amicizia, un viaggio o un concerto di anni fa, ma bisogna essere consci del fatto che anche questo è un mondo artificiale, realizzato su misura per la nostra quotidiana disperazione; siamo davvero sicuri che ci faccia bene chiuderci dentro? Lo sarà di certo per chi produce film, chi li distribuisce, chi vende dischi, chi gestisce la rete globale delle informazioni, ma a noi – che restiamo sempre i soliti quattro coglioni – siamo sicuri del fatto che tutto questo miele renderà meno amare le nostre esistenze?
Vi lasciamo costruire la vostra playlist, con tutte le cose che troverete aprendo i dannati scatoloni che avevate dimenticato nelle polverose soffitte celate nelle vostre teste. Anche io, da buon coglione, l’ho fatto. Auguriamoci buon viaggio e buona visione, dunque. A presto.
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