“Bleach”, l’esordio discografico dei Nirvana, è, senza alcun dubbio, il loro album più crudo, ricco di feedback oscuri e conflitti ancora adolescenziali, ma che mostrava già – siamo nel 1989 – i primi segni, ancora intermittenti, della statura di quella band e di Kurt Cobain, capace di entrare facilmente in connessione emotiva con tutti coloro che erano ugualmente incazzati ed insoddisfatti.
“Shool”, “Mr Mustache”, “Scoff”, “Love Buzz”, ancora ruvide, criptiche dal punto di vista lirico, ma già in grado di trasmettere, con elevata intensità e partecipazione, il senso di scontento e disincanto di Kurt, sono già degli ottimi brani, abrasivi e viscerali, capaci di esprimere tutta la potenza sonora dei Nirvana, soprattutto durante le esibizioni dal vivo. E pensare che tutti i testi dell’album furono scritti in una notte e praticamente improvvisati poco prima della loro registrazione, mentre l’album stesso fu registrato in circa 30 ore per soli 600 dollari. Ma il vero e proprio capolavoro dei Nirvana di “Bleach” è “About A Girl”, una canzone d’amore, ma ovviamente non nel senso comune. Un amore che si trasforma in feroce abitudine, che diviene violento ed intransigente, come solo la dipendenza sa esserlo e che dietro ai sui riff e fuzz melodici e ingannevolmente suadenti, nasconde tutto il vuoto, la malattia e la devastazione che resta dopo il suo passaggio. Una canzone d’amore, sì; ma anche di rabbia, sesso, mancanza e solitudine. Una canzone-presagio che getta il suo sguardo sul futuro, su quella “Heart Shaped Box” che, ancor di più, scaverà – con le sue unghie lunghe ed affilate – nella carne molle e nelle moribonde fragilità dell’America di Kurt e dei Nirvana.
“Bleach” è un album selvaggio; è quasi un disco che mette a disagio, non è per tutti – non ha la melodia di “Nevermind” o la struggente poesia di “In Utero” – ma è il disco che, più di tutti, senza alcuna sovrastruttura e senza l’asfissiante puzza dello show business dà un’idea del Kurt più ancestrale. Egli stesso parlò del suono di “Bleach” come qualcosa che si potesse definire “retro-settanta”, un miscuglio sporco e sudato di garage e punk, metal e hardcore; un fiume di sonorità che, da lì a poco, l’industria musicale avrebbe tentato di canalizzare, istituzionalizzare e canonizzare, causandone – per i più pessimisti – la fine prematura oppure – per i più ottimisti – la sua immediata e imprevedibile trasformazione ed evoluzione, in modo tale da sfuggire alla catalogazione mainstream.
“Bleach”, a differenza degli album successivi, è l’unico che ha potuto ed ha saputo catturare la visione perdente e nichilista di un normale e sconosciuto ragazzo di provincia, il quale, tramite la musica, tenta di sentirsi vivo, nonostante l’opprimente cappa di noia, frustrazione ed impotenza che domina la cittadina di Aberdeen, Washington. È quasi una sorta di requiem metallico e distorto, il canto atroce dell’ultimo Lupo che ulula, desolato e sconfitto, alla pallida Luna.
Pubblicazione: 15 giugno 1989
Durata: 42:14
Dischi: 1
Tracce: 11
Genere: Grunge
Etichetta: Sub Pop Records
Produttore: Jack Endino
Registrazione: 24 dicembre 1988–11 gennaio 1989
1. Blew – 2:54
2. Floyd the Barber – 2:18
3. About A Girl – 2:48
4. School – 2:42
5. Love Buzz – 3:35
6. Paper Cuts- 4:06
7. Negative Creep – 2:56
8. Scoff – 4:10
9. Swap Meet – 3:03
10. Mr. Moustache – 3:24
11. Sifting – 5:22
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