I riverberi e le distorsioni shoegaze sono coltelli di luce violetta nel buio fitto della notte, mentre voce e chitarre danno vita ad atmosfere lisergiche e suadenti nelle quali le sonorità stoner e post-rock costruiscono la tela che catturerà gli ascoltatori.
Se il brano d’apertura “Interstellar Love” ha il compito di attrarre la preda con le sue linee morbide e melodiche, è il secondo brano, “Run Dog Run!”, carico di turbolenta e minacciosa acidità, a chiudere il pugno su quei poveri cuori ignari ed indifesi, strizzando l’occhio alla radici psichedeliche che mettono – da tempo – a soqquadro l’anima della band pugliese.
La strada è tracciata, “Again” e “When Boys Steal Candies”, rompono, finalmente, gli argini costruiti dall’avidità degli uomini, facendo sì che il miscuglio di ritmi pesanti, bassi possenti e penetranti, ruvide e taglienti parole, possa inondare quella landa arida e brulla che, spesso, è la nostra quotidianità, nella quale c’è sempre meno spazio per i nostri sogni, per le nostre emozioni, per tutto ciò che non può essere semplicemente comprato, consumato e poi gettato via.
Nell’occhio dell’uragano si celano le atmosfere malinconiche e meditative di “Black Lips” e quelle sempre più vibranti e nebulose di “Monster”, che ci conducono alla fine del nostro viaggio: l’uragano ci porta dritti tra le creature fantastiche di Oz, in un mondo che era incontaminato e semplice, ma che la brama di possesso e di potere ha resto triste, pericoloso ed ostile, chiudendo la nostra empatia e la nostra umanità in lugubri gabbie di metallo e cemento, dalle quali nessuno, se non noi stessi, potrà liberarci. ZOO rappresenta i pugni che sbattono contro queste porte chiuse, le mani che tentano di spezzare queste catene di ferro, le mani che strappano e gettano via le maschere che ci rendono ciechi e ci impediscono di guardare la cruda verità della farsa di cui, più o meno consapevolmente, siamo parte.
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