I Kefaya, ossia Al MacSween e Giuliano Modarelli, mostrano ancora una volta – dopo il precedente “Radio International” – come sia esaltante ed artisticamente stimolante non focalizzarsi semplicemente sulla propria realtà e quotidianità, ma allargare, quanto più possibile, i propri orizzonti, dimostrando così non solo di essere creativi, ma anche pro-attivi e capaci di spingere, con la propria musica, così eterogenea e dinamica, le persone a sviluppare un pensiero critico e libero da tutto ciò che tentano di inculcarci dall’alto.
Pur vivendo a Londra, il loro lavoro li spinge verso luoghi distanti dei quali cercano di assimilare le radici e riproporre, musicalmente, i colori, i profumi ed i sapori. “Songs Of Our Mothers” li ha condotti nell’Afghanistan di Elaha Soroor, artista Hazara, discriminata non solo perché parte di una minoranza etnica, ma anche perché donna che tenta di esprimere la propria sensibilità, la propria arte e la propria umanità col canto e la musica; azioni e scelte ritenute blasfeme e da condannare in una società, fortemente repressiva e maschilista, come quella afghana. Una società nella quale le donne – le nostre madri – tramandano, di generazione in generazione, i canti tradizionali che Elaha, assieme ai Kefaya, porta con sé nel suo lungo viaggio, consentendo loro di brillare di nuova luce e di mescolarsi a sonorità jazz, pop, folk ed elettroniche, in maniera tale da trasformarsi nel canto e nella voce di tutti coloro che rivendicano, ogni giorno, la libertà di poter compiere le proprie scelte e realizzare i propri sogni, senza l’obbligo di dover sottostare a regole e precetti assurdi, imposti, spesso, da autorità intransigenti, crudeli, arretrate ed incapaci di apprezzare cosa sia la vera bellezza.
Nelle parole di Elaha c’è tutta la sofferenza ed il dolore di chi è costretto ad abbandonare coloro che ama o a sottostare a vincoli e obblighi contro la propria volontà; nel trasportare queste canzoni da Oriente ad Occidente vi è la volontà di esprimere un concetto semplice: la nostra casa non è questo o quel luogo; non abbiamo diritto di stabilire chi debba viverci e chi no; la nostra casa è il mondo intero. Siamo parte di una comunità globale che deve contribuire all’unisono alla crescita ed allo sviluppo di ogni angolo più recondito e sperduto del pianeta, battendosi per affermare, in ogni dove, i diritti umani, la parità tra i sessi, la protezione dell’ambiente, la sostenibilità delle politiche economiche, l’equipartizione delle ricchezze. Il canto delle madri afghane, tramandato, con orgoglio e dolore, da una generazione all’altra, si trasforma nel canto di un unico pianeta ed unica razza, quella umana, che ha il dovere ed il diritto di rivendicare più equilibrio, più giustizia, più libertà, più rispetto, più eco-sostenibilità, più amore verso il prossimo.
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