Il groove dei Kamchatka, trio power metal svedese, dà vita ad un album in cui il blues rock più classico e viscerale si lascia avvolgere dalla dinamica e dall’intensità del metal, in un perfetto mix di grinta e passione, di cuore e cervello. Perché i ragazzi mostrano di saperci fare e contaminare l’anima blues del loro sound con diversi e variegati stili: dallo stoner rock alle atmosfere psichedeliche, riuscendo a trasmettere agli ascoltatori il calore di una jam session senza perdere mai di vista il senso globale della struttura dei singoli brani e allo stesso tempo risultando energici, mai banali e perfettamente in grado di plasmare, a proprio piacimento, la materia grezza dell’hard-rock anni Settanta. Idealmente, infatti, il trio svedese si lascia ammaliare dalle sonorità acide dei Black Sabbath e da quelle magmatiche di Jimi Hendrix, ma, fregandosene del tempo che passa, rende omaggio anche alla dolorosa passionalità dei Soundgarden e degli Alice In Chains. Tutto ciò potrebbe far storcere il naso ai puristi blues o a chi non ama guardare alla musica del passato, ma i Kamchatka si rapportano a questo glorioso passato come fosse il palco su cui debbono esibirsi: si sentono a loro agio, si muovono liberamente negli spazi a loro disposizione, ma l’energia e la passione sono solamente le loro, così come ogni nota che viene suonata ed ogni parola che viene pronunciata. Tutto, quindi, è più che mai attuale.
La Kamchatka è una terra estrema, un luogo ai confini del mondo, dove l’uomo può toccare con mano la sua debolezza e la sua insignificanza rispetto alla grandiosità ed alla forza – creatrice e distruttrice – della natura, ma è anche una terra di passaggio, il ponte tra l’Asia e l’America, in bilico tra culture e mondi che sembrerebbero diversi tra loro. Una diversità, infatti, che è solo di facciata ed apparenza, perché le radici sono le medesime; ecco, allora, la necessità di resistere, di non lasciare che il ponte di “Rainbow Ridge” crolli su stesso. Ed oggi che il nazionalismo più becero e violento vuol appropriarsi di ogni angolo del pianeta, intrappolando le persone in una spirale di odio e paura, il blues – con la sua forte passionalità, con la sua storia, con la sua capacità di parlare alle anime ed alle coscienze – può essere fondamentale non solo nel denunciare le brutture e le ingiustizie dei tempi attuali, ma anche come mezzo di unità e ricostruzione sociale. Non è attuale tutto ciò? Non è attuale in un’epoca in cui come accade in “Supersonic Universe” siamo costretti, spesso, per completare noi stessi, a partire ed abbandonare coloro che amiamo?
Dare delle semplici etichette, nascondersi dietro definizioni sintetiche, quindi, come accade sovente, è solo forviante e rischia di non rendere giustizia ad un progetto concettuale e sonoro, che pur affondando le sue solide radici nel passato, in quell’hard-rock caro a band come i Deep Purple o in Raibow, riesce ad evolversi in maniera del tutto indipendente e soprattutto originale.
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