Siamo sicuri che il governo sia davvero dalla nostra parte? È questa la domanda che mi inquieta quando ascolto i Girls In Synthesis.
Cosa siamo per i nostri governanti? Nel migliore dei casi ci considerano degli agnelli da sacrificare al capitale, dei consumatori sui quali poter far ricadere l’elevato costo dei loro privilegi e delle loro manie di grandezza. Ovunque ci voltiamo, infatti, è in corso una lotta impari tra chi ha già tanto e chi ha sempre meno, ma la cosa che, ormai, non fa neppure notizia è che quest’ultimi non riescono a parlarsi, comprendersi, coalizzarsi e far fronte comune contro il medesimo nemico. Ciascuno è preoccupato del suo minuscolo giardino e volge la sua attenzione e la sua conseguente avversione nei confronti di quelli che stanno peggio. Spesso, ci riempiamo la bocca con parole come “resistenza”, “comunità”, “collettività”, “resilienza”, “empatia”, ma resta tutto molto teorico, perché, poi, quando abbiamo la possibilità di scegliere e di esprimere davvero la nostra contrarietà, facciamo le scelte sbagliate, confermando la nostra fiducia verso coloro che stanno distruggendo questo pianeta; verso coloro che portano il nostro paese in guerra; verso coloro che lo vogliono più isolato; verso coloro che non hanno alcuna intenzione di tutelare i più poveri, i più fragili ed i più indifesi.
Altrimenti come si spiegherebbe la Brexit? Come si spiegherebbero le politiche industriali del tutto avverse alla salvaguardia dei fragili equilibri climatici della Terra? Come si spiegherebbero i continui conflitti e le politiche aggressive nei confronti di tutti i territori ed i paesi ricchi di risorse e materie prime? Come si spiegherebbero delle politiche del lavoro che ci vogliono, sempre più, meno tutelati, più divisi e più precari? Come si spiegherebbero delle politiche sociali e sanitarie che pensano al benessere ed alla salute solo dei ricchi e lasciano i poveri al loro destino?
Siamo perennemente minacciati da un cielo plumbeo, i Girls In Synthesis lo sintetizzano nelle loro sonorità dense e claustrofobiche, velenose e taglienti che guardano al post-punk più nevrotico, allucinante e disilluso. La loro musica apre ferite nella carne, macchia di rosso le tele nere su cui prende vita un mondo distopico, a cui il nostro pare tendere in maniera preoccupante, nel quale l’unica regola è mostrarsi forte con i deboli e mite con i forti; essere, allo stesso tempo, sia il Lupo, che l’Agnello, mentre i nostri veri governanti si fanno sempre più grassi, ottusi e prepotenti. Sullo sfondo i peggiori incubi prendono vita: l’Inghilterra del ’77, le politiche di controllo delle masse di Orwell, le svastiche che oscurano il Sole di Philip K. Dick, il liberismo guerrafondaio del nuovo Millennio, i Buzzcocks ed i Wire, il rimpianto per aver perduto Joe Strummer e la triste consapevolezza di aver affidato il nostro futuro, quello che pensavamo non fosse stato già scritto, a dei pagliacci paranoici.
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