Il punk, quello originale, si presentò, alla fine degli anni Settanta, come un pugno in faccia verso tutto ciò che era convenzionale, conformista, schematizzato, esclusivo ed elitario; chiunque aveva il diritto di rivendicare il proprio spazio, di imbracciare una chitarra e sputare la propria rabbia contro il sistema precostituito. Ma già nel ’78 il muro sonico del punk iniziò a sgretolarsi, il movimento divenne meno ortodosso ed iniziò ad interagire e contaminarsi con tutta una serie di sensibilità artistiche, emotive, sociali, che il punk della prima ondata avrebbe sicuramente respinto e scartato: dub, reggae, ska, krautrock, glam-rock, metal e persino prog-rock. Ciò consentì al punk di diventare davvero immortale ed a nuove band di crescere e sperimentare, di ampliare i propri confini, di impegnarsi socialmente verso l’esterno e di essere in grado di coinvolgere emozionalmente i propri ascoltatori, senza perdere lo spirito anti-convenzionale, ma veritiero ed onesto del punk: Public Image Ltd, Joy Division, The Cure, Gang Of Four, The Fall, Wire.
Ed è proprio questo spirito che, oggi, a distanza di ben quattro decenni, troviamo ancora intatto in band come i londinesi, provenienti da Brighton, Italia 90: ciò che li mette in connessione diretta con quell’epoca è soprattutto l’approccio alla musica, al pubblico, ai concerti, più che le sonorità post-punk e nowave a cui anche l’ultimo EP, “Italia 90 III”, fa ampiamente riferimento, sfoggiando ritmiche crude ed essenziali, ipnotiche e minimali, ma capaci di rapire l’attenzione degli ascoltatori, facendoli riflettere e divertire.
Ha senso tutto questo? Sì, perché quella degli Italia 90 non è una semplice operazione nostalgica; le canzoni guardano ai nostri tempi ed alle problematiche attuali: a ciò di cui hanno bisogno le persone comuni ed al modo con cui le istituzioni governative cercano, continuamente, di opporsi e ritardare dei cambiamenti irreversibili, semplicemente perché vogliono preservare sé stesse, i propri interessi politici ed economici e quelli delle ristrette caste che ne sostengono il ruolo ed il potere. Abbiamo tutti davanti agli occhi come, purtroppo, i cambiamenti climatici stanno mettendo a rischio la vita sul pianeta; possiamo sentirlo sulla nostra pelle, ogni giorno, ma i nostri governanti ignorano deliberatamente tutto ciò, addirittura giungono a negarne l’esistenza, solamente perché debbono salvaguardare gli interessi economici e finanziari che gli hanno consentito di raggiungere e conservare nel tempo il proprio potere.
Questo provoca rabbia nella gente; una rabbia che, però, sempre più spesso, viene incanalata male, nel modo peggiore: non riusciamo a prendercela con il vero nemico, quello che sceglie per noi e per i nostri figli, perché egli è lontano ed al sicuro, perennemente protetto e riverito dai suoi servitori. Ed allora ce la prendiamo con chi se la passa peggio, con chi percepiamo diverso, con chi pensiamo metta a rischio quel poco che abbiamo ottenuto con il lavoro e con i sacrifici. Ci viene innestata in profondità questa paura assurda e di conseguenza ad essa facciamo delle scelte assurde: seguiamo e facciamo nostre idee populiste, negazioniste, reazionarie e fasciste; dimentichiamo il passato, lasciamo perdere il futuro e viviamo un presente eterno in cui non esistono principi, ma è tutto vago, opinabile e temporaneo.
La musica non può cambiare il mondo, ma può consentirci di incanalare la nostra rabbia nella giusta direzione; di renderla una risorsa positiva e non il cavallo di Troia con cui distruggono la nostra umanità; di far fronte comune dinanzi ad un nemico comune; di superare le diversità, di percepirle come qualcosa che può arricchirci e far stare meglio, piuttosto che impoverirci e far stare peggio. Tutto ciò non è attuale? Non è abbastanza punk?
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