“Glint”, il nuovo album degli americani Soften The Glare si presenta come uno sfavillante luccichio di sonorità metal, jazz, fusion e progressive rock, sapientemente innestate tra loro, in maniera tale da dare vita ad un flusso strumentale magmatico, coeso, inarrestabile ed omogeneo, in grado di rapire gli ascoltatori e proiettarli nella dimensione mentale del proprio io incosciente.
Un luccichio che, però, potrebbe essere anche malvagio; potrebbe scavare nel fondo dei nostri pensieri nascosti e far emergere tutto il torbido che appesantisce ed inquieta le nostre anime. C’è, quindi, bisogno di trasporto emotivo, di qualcosa che ci consenta di portare a galla tutta la materia oscura, separarla dal resto e liberare così la nostra sensibilità, ossia la capacità intrinseca di ogni essere umano di entrare in contatto con la natura, con gli elementi atmosferici, con le misteriose forze che ne governano il funzionamento, con i propri simili. “Glint” è il mezzo col quale avviare quel trasporto emotivo, il viaggio sarà unico per ciascuno di noi.
Un viaggio senza alcun timore, senza alcun preconcetto, senza alcuna paura; un viaggio nel quale la musica può aiutarci a liberarci di tutti gli strati inutili e superficiali sotto i quali abbiamo nascosto il nostro vero essere; un viaggio che può avvenire solamente rinunciando, una volta per tutte, a quegli atteggiamenti e quei comportamenti finalizzati a metterci, preventivamente, sulla difensiva, dando la percezione al prossimo di essere creature rabbiose ed aggressive, per nulla inclini al dialogo o al compromesso. La nostra società, in fondo, ci vuole proprio così: soli ed impegnati a difendere quella piccola gabbia in cui siamo stati reclusi sin dalla nascita.
Ma se guardiamo dentro di noi, a quello che ci piacerebbe essere, a quello che sta sotto alla corazza che pensiamo debba difenderci dalle sofferenze e dalle possibili delusioni, ci rendiamo conto di non essere così come appariamo. Noi non siamo creature aposematiche, così impaurite e preoccupate da quello che potrebbero fare o semplicemente pensare gli altri, da cercare, in tutti i modi possibili, di tenerli a distanza e non permetter loro di avvicinarsi ed aprire la gabbia in cui pensiamo di essere a nostro agio. Questo modo di fare, questo modo di essere, non farà altro che consumarci ogni giorno che passa, sempre di più, finché, alla fine, nella gabbia, non resterà più nulla.
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