“Fiendish Shadows”, storica performance live dei Damned del 1985, è stata completamente rimasterizzata e ripubblicata sia in formato CD, che in un accattivante formato in vinile rosso o blu. La band inglese viene catturata in un momento storico nel quale le loro sonorità non sono più unicamente punk, ma si spostano in altri territori: dalla new wave al dark, dall’horror rock al garage rock.
La leggenda narra che una volta Lemmy Kilmister, il leggendario bassista dei Motörhead, rivolgendosi a Captain Sensible, gli disse che l’importante non è quanto bevi o cosa bevi, ma quanto velocemente bevi. E che i Damned fossero una band estremamente dinamica, nel bene e nel male, è innegabile: suonavano e bevevano più velocemente degli altri, non fecero mai parte del giro di Malcolm McLaren – con il quale ebbero, spesso, forti contrasti – presero parte al celebre “Anarchy Tour”, ma ne vennero estromessi perché, in fondo, volevano suonare e basta, a loro non importava né dell’anarchia, né della rivolta.
Dave Vanian, un becchino prima di diventare un musicista a tempo pieno, una volta disse che di solito le persone mettono su una band per bere, scopare, divertirsi e fare quel che gli pare, ma lui avrebbe semplicemente voluto vivere in qualche casa infestata lassù in collina, con un laboratorio in stile dottor Frankenstein, i pipistrelli attorno e tutto il resto; se poi ci fossero state anche un paio di ragazze carine, beh, lui, certamente, non avrebbe avuto nulla da ridire.
Quella dei Damned fu una storia tempestosa, non ebbero né i ritorni mediatici dei Sex Pistols, né le finalità politiche ed antagoniste dei Clash; come è stato, spesso, detto e scritto, la loro, fu, essenzialmente, una storia di vomito, sidro, solfato, palazzi infestati, rabbia e puffs al formaggio: qualcosa di disgustoso, nauseante, divertente, sfrontato, rumoroso e malvagio, ma in fondo estremamente vero. Non ebbero, infatti, nessuno che si preoccupasse particolarmente della loro immagine pubblica, di ciò che potessero dire o fare, né essi stessi furono interessati a curarsene; ciò li rese, in pratica, degli outsider e degli estranei, spingendoli sempre più borderline, anche rispetto allo stesso movimento punk, ma, allo stesso tempo, concesse loro un’ampia libertà di manovra e movimento, sia espressiva, che musicale, tant’è vero che il loro “The Black Album” del 1980 aprì al punk rock le porte di quel mondo di sonorità malinconiche, cupe e meditative che sarebbero state definite come goth rock.
“Is she really going out with him?” è con questa domanda che iniziò tutto, con una domanda che non richiamava né l’anarchia dei Pistols, né la rivolta bianca dei Clash, ma che era semplice voglia di andare veloce e divertirsi; con una piccola etichetta indipendente alle spalle; con più tempo trascorso nel pub, che in sala prove; con registrazioni eseguite su nastri già usati sui quali ritrovavano frasi e parole di qualcun altro; con un vampiro e tre cani sciolti sul palco; con un presente terribile che non aveva nulla da offrire, se non un misero lavoro da becchino o da pulitore di cessi; con l’unico obiettivo di prendersi il meglio, perché il peggio sapevano già che sapore avesse.
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