domenica, Dicembre 22, 2024
Il Parco Paranoico

Migrations, Hiboux

Mik Brigante Sanseverino Marzo 7, 2020 Dischi Nessun commento su Migrations, Hiboux

La specie umana ha sempre manifestato una forte propensione allo spostamento, alla migrazione verso nuovi territori; in fondo ciò è alla base della conoscenza, se non ci muovessimo, non potremmo mai entrare in contatto con realtà culturali, sociali, tecnologiche ed economiche diverse dalle nostre. Oggi, però, nonostante la ricerca scientifica ci dica che sono state proprio le grandi migrazioni dell’antichità ad omogeneizzare ed accelerare lo sviluppo della specie umana, noi ne abbiamo profondamente paura e sempre più spesso rispondiamo a questo fenomeno con ostilità, intolleranza e violenza.

Gli Hiboux, band neozelandese, utilizza e mescola sonorità progressive e post-rock per dare forma musicale alle sensazioni ed alle emozioni percepite da coloro che affrontano l’ignoto: si avverte una profonda nostalgia nei confronti di ciò che è stato costruito con fatica e sacrificio, ma anche la consapevolezza che solo attraverso la rinuncia sarà possibile crescere e migliorare. Rinuncia che non significa affatto dimenticare il proprio passato, le proprie origini o ciò che eravamo, ma che impone di non ostinarsi a voler vivere e pensare sempre nel medesimo modo, chiudendosi a tutto ciò che viene da fuori, semplicemente perché non rientra, alla perfezione, in quelli che riteniamo essere i canoni della normalità. Ma pensate, davvero, che esista qualcuno che possa stabilire cosa è normale e cosa non lo è?

Trasportando il tutto in ambito musicale la band di Wellington mostra come non abbia alcun timore nel mescolare le sue svariate influenze sonore, le quali provengono da dimensioni temporali e geografiche diverse tra loro. Destrutturare il rock progressivo degli anni Settanta o gli sfumati orizzonti post-rock del nuovo millennio; volgere il proprio sguardo tanto alla nebbiosa e malinconica brughiera inglese, quanto alle assolate spiagge della California più psichedelica o ai venti che soffiano nel remoto deserto del Taklaman; per poi riplasmare il tutto e forgiare un suono completamente nuovo, rappresenta, a pieno, lo spirito del viaggiatore, rispettoso dei luoghi che ha visitato, ma desideroso di scoprirne sempre di nuovi in un processo di crescita e conoscenza che non avrà mai fine e che rappresenta l’essenza stessa dell’uomo.

Oggi, invece, vi è la tendenza a imporre sempre più limiti e barriere, ad edificare muri, credendo così di poter impedire alle persone di spostarsi, ma per quanto saranno larghi ed alti questi muri, per quanto li proteggeremo con soldati, filo spinato o corrente elettrica, la storia di questo pianeta ci insegna che è impossibile opporsi alle trasformazioni ed ai cambiamenti e tanto più violenti saranno i nostri tentativi, tanto più forte sarà la risposta che ci darà la natura.

Dovremmo tentare di preservare questo mondo, nella sua globalità, piuttosto che preoccuparci ciascuno del suo piccolo giardino. Abbiamo tutti sotto gli occhi gli effetti drammatici delle alterazioni del clima, sappiamo come le nostre risorse tecnologiche ed economiche sono spesso inutili dinanzi alle grandi catastrofi naturali, sappiamo che è sufficiente un’entità microscopica, al confine tra ciò che riteniamo essere vita e ciò che non lo è, un semplice virus, per gettarci nel panico e nello sconforto, per distruggere la nostra millenaria storia e ridurla in polvere.

Like this Article? Share it!

About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

Comments are closed.