I MOHIT hanno portato a termine il loro primo diario sonoro, hanno plasmato una massa informe di sonorità differenti, di sensazioni contrastanti, di session turbolente e sperimentali, per dare vita ai nove brani di “Preface”, per renderli unici e riconoscibili, sia dal punto di vista strettamente musicale, che a livello emotivo ed immaginifico. Corpo ed anima; un’osmosi perfetta tra il dentro delle nostre riflessioni, delle nostre impressioni, dei nostri pensieri, più o meno coscienti, ed il fuori del mondo naturale, dei rapporti interpersonali, delle relazioni sociali, delle sovrastrutture umane.
Quest’album è una sintesi nella quale elementi sonori di matrice diversa, dall’art-rock alle sonorità meditative, introspettive e psichedeliche, dal math-rock alle divagazioni suggestive e complesse del progressive rock, dalle atmosfere ambient ad orizzonti musicali d’avanguardia che portano la band londinese verso scelte tecniche non convenzionali, vengono assemblati per dare vita ad un corpo unico: un oceano che possa presentarsi, dinanzi agli ascoltatori, in forme diverse. Come una creatura quieta e pacifica, desiderosa di debellare le nostre ansie e paure interiori; oppure come una creatura tempestosa e violenta, intenzionata a risvegliare le nostre coscienze dormienti e spronarci ad agire.
Il mare è un elemento vivo e presente nelle ambientazioni musicali dei MOHIT, a partire dal brano iniziale del disco, “Racek”, brano visuale e di elevato spessore immaginifico nel quale l’elemento marino appare nel suo duplice aspetto vitale e mortale; questa, in fondo, è la potenza della natura, rispetto la quale gli esseri umani sono ben poca cosa. Concetto che è ancora più evidente in un altro brano dell’album, “Decay”, nel quale la band inglese tenta di estrapolare l’essere umano dalla sua quotidianità, dalle sue esigenze sociali e materiali e porlo al cospetto dell’infinitamente grande e misterioso del cosmo. Pur continuando a volare, il gabbiano è estremamente fragile rispetto all’immensità del cielo e del mare, così è l’uomo nei confronti dell’Universo, eppure continua a credersi al centro di tutto, a sprecare il suo tempo, a perdersi nell’assurda spirale mediatica di “Steady Evil”, mentre fuori c’è un intero Universo da conoscere ed ammirare, a partire da ciò che ci circonda e che spesso riteniamo, intrappolati nella visione limitata del nostro Io, del tutto trascurabile; questo è un errore, il più grande errore che possiamo compiere, perché ci allontana dalla Verità, mentre, invece, noi dovremmo guardare ogni cosa, anche quelle che ci appaiono banali, con gli occhi di “Reggaeezer”, gli occhi di colui che cerca e non si ferma mai.
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