Partiamo dall’anno scorso, dal 2019, quando la band di Oxford pubblica l’album “This Is Not A Safe Place”, un album nel quale il background shoegaze, fortemente impregnato dal profumo spigoloso degli anni Novanta, viene “contaminato” ed ampliato dai suoni artificiali dei synth e dalle sperimentazioni psichedeliche. Il rumore viene diluito ed amalgamato; sembra quasi provenire da un’altra dimensione, da un luogo in cui abbiamo vissuto tempo fa, da una storia che ci hanno narrato, mentre ora ci troviamo altrove, rapiti da una scia misteriosa di ritmiche elettroniche ed atmosfere ambient; siamo stati proiettati in territori nuovi e sconosciuti, riusciremo a non perderci? Territori, nei quali la band non è completamente a proprio agio, ha bisogno di ritrovare il proprio equilibrio, ma ciò nonostante questo senso di estranietà ed incertezza le consente di non finire, brutalmente, fagocitata dal proprio passato, divenendo vittima del suo stesso nome, quando, invece, ci sono ancora tante pagine da scrivere nel proprio diario.
Pagine che, adesso, dopo un anno, il duo noto come Pêtr Aleksänder ha la possibilità di leggere, interpretare e riplasmare a suo piacimento, costruendo attorno alle sole e morbide linee vocali del disco originario, le proprie trame e strutturazioni neo-classiche e lasciando che le sonorità ambient ed elettroniche diventino ancora più incisive, presenti e penetranti. È come se il baricentro del disco si fosse completamente spostato: dalla terra al cielo, le strade sconosciute dove muovevamo i nostri passi sono diventate nuvole. I Ride ci avevano mostrato i dettagli, lo avevano fatto perché potessimo renderci conto di non essere più a casa e di stare percorrendo sentieri mai percordi prima; non avevamo, però, ancora una visuale completa, non potevamo averla perché troppo impegnati a plasmare la nuova materia; ora, invece, ce l’abbiamo e ciò ci permette di apprezzare ancor di più il cammino ed il lavoro che sono stati compiuti.
Il luogo misterioso, nel quale era possibile smarrirsi per sempre e restare impantanati nella voglia eccessiva di cercare e trovare nuove sonorità, è più familiare, soprattutto se – come avviene ascoltando questa versione remixata dell’album – puoi guardare il mondo dall’alto. Il rischio, ovviamente, è che potresti distrarti, potresti perdere di vista il punto focale della tua ricerca e compiacerti così tanto di ciò che hai raggiunto, da non considerare più gli altri. In fondo quello che avviene è proprio come guardare la realtà attraverso lo specchio; siamo certi che lo specchio non la deformi? Non ci mostri solamente ciò che vogliamo vedere? È evidente che questo è un rischio che potrebbe compromettere e stravolgere del tutto il lavoro fatto; invece di amplificarne i contenuti, potrebbe sminuirli e metterli in secondo piano. Ecco, perché come hanno fatto i Pêtr Aleksänder, è indispensabile ascoltare, per prima cosa, “This Is Not A Safe Place”, comprenderlo e metabolizzarlo, e poi immergersi nella sua versione aerea, “Clouds In The Mirror”; solo così resteremo connessi ai sentimenti, alle idee e ai concetti espressi dai Ride e potremo ammirare come essi si siano combinati con melodie diverse; come siano cresciuti; come si siano completati, senza, però, smarrire la propria identità: il cielo e la terra debbono restare, infatti, in connessione continua tra loro.
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