È il suono della catastrofe, un suono massiccio e travagliato; un suono che, incurante della bella società e dei suoi sorrisini finti e compiacenti, si rivolge soprattutto a quelli che hanno parecchi conti in sospeso col destino e che sanno bene quanto queste fottute leggi dell’universo possano essere ingrate e feroci. Di conseguenza le atmosfere musicali degli O ZORN! si fanno dense, ostili e vorticose; un fumo incandescente penetra in ogni angolo delle esistenze più sventurate, non servono a nulla porte o cancelli, perché passerà attraverso le serrature e le grate delle vostre prigioni e diffonderà ovunque le sue sonorità metalliche nelle quali post-hardcore, doom, grunge e hard-rock psichedelico si agitano come fossero povere anime dannate nel girone peggiore dell’inferno.
“Your Killer” è un disco più attento ai dettagli rispetto al passato, più riflessivo, non colpisce a casaccio, ma ha la lucidità di raccogliere la tensione, incanalarla e poi scagliare le sue micidiali sferzate sludge metal. Questo approccio più curato lo arricchisce di passaggi ritmici di intensità e velocità diversa, rendendolo così più dinamico nel suo complesso e più vicino emotivamente agli ascoltatori. La vita, spesso, ci mette a dura prova, ci porta via tutto, ci fa sentire come dei poveri conigli costretti perennemente a guardarsi le spalle da centinaia di terribili nemici, ma sarebbe ovvio, monotono e stancante continuare a sparare a zero su questo schifo; i passaggi più riflessivi sono fondamentali per mantenere alta l’attenzione e per dare più enfasi sia ai momenti più duri e combattivi, che a quelli più pacifici e poetici.
La band americana guarda negli occhi gli ultimi; quelli che cadono nella spirale mortale delle dipendenze, quelli che si trascinano nell’indigenza, quelli che sono stati usati, spremuti, svuotati e poi gettati via dalla società quando non erano più utili ed erano diventati un problema insostenibile. Quante volte incrociamo queste persone nel corso delle nostre giornate? Parecchie volte, ma preferiamo evitare il loro sguardo, far finta di non vederle, di non sentirle, troviamo molto più conveniente ignorarle e procedere oltre. Ed è così che le uccidiamo ancora una volta; forse non ce ne rendiamo conto, forse siamo troppo superficiali, forse abbiamo paura di diventare come loro, ma così facendo diventiamo la catastrofe che segna la loro fine, diventiamo zorn!
“Era una voce di coniglio, quella, benché mutata e quasi irriconoscibile. Sembrava venire dai freddi spazi del cielo scuro, tanto era lugubre e desolata. Dapprima un lamento inarticolato. Poi udirono, distinte, inconfondibili, delle parole. Zorn.” (da “La Collina dei Conigli” di Richard Adams)
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