La voce di Amber riempie ogni angolo, interiore ed esteriore, ma nonostante la sua delicatezza e la sua melodia, essa è glaciale. Si innesta, magistralmente, alle sonorità melanconiche e decadenti di “Dark Woven Light”, agli echi ed ai riverberi della chitarra di Nick, alle atmosfere rarefatte dei synth, costruendo un suono che appare cinematografico ed oscuro, consapevolmente amaro. Uno scorrere lento e continuo di note e parole che si muove tra l’ironico epilogo iniziale e la struggente desolazione di “Ghost Heart”, le cui note di piano continuano a risuonare nelle nostre menti anche quando il brano finisce, il disco si chiude ed il suo vero epilogo si trasforma nell’inizio, in un ciclico ritorno che, ogni volta, ci vede più fragili, più vecchi e più consapevoli.
Come stiamo? “I’m not fine. You’re not fine” è la risposta.
Sembra quasi naturale ascoltare il disco in questi giorni nei quali le nostre città sono così vuote e silenti, mentre le persone restano chiuse in casa, strette tra il peso dei loro recenti ricordi e la paura che niente torni più com’era prima. Ed è vero, il cambiamento sarà inevitabile e forse anche giusto. Ripercorreremo il cerchio perfetto dell’esistenza, la fine genererà il nuovo inizio, ma noi non saremo più gli stessi: la luce sarà più fievole e le distanze che ci separano saranno più grandi. Resteranno queste ninne-nanna gotiche nell’aria, resteranno i fantasmi del passato, resteranno le sonorità ovattate dei nostri cuori, mentre questa musica notturna continuerà a farci compagnia, ma senza ingannarci, non potrebbe farlo mai, per cui la sua risposta sarà sempre la stessa. Io non sto bene; tu non stai bene; il mondo – per come lo abbiamo concepito, per come lo abbiamo plasmato – non sta bene.
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