Il basso rimbomba da un lato all’altro della stanza, le chitarre sono lame di coltello, mentre la voce di Jenny McKechnie passa dall’essere furiosa e vibrante a diventare controllata e melodica, perché è evidente che non si va da nessuna parte trasformando tutto il Male del mondo in rabbia caotica, disordinata e viscerale; è necessario indicare un’alternativa concreta a questa società, che nonostante gli indubbi vantaggi scientifici e tecnologici, resta una società basata su un capitalismo ingiusto di tipo maschilista e patriarcale, con il quale, sin dai nostri primi anni di vita, veniamo catechizzati ed indottrinati.
Infatti “Hope”, il brano iniziale del disco, è una ferita ancora aperta: un passato scandito dalle rivendicazioni personali, dal bisogno di rivendicare i propri spazi, da un contesto familiare eccessivamente appiattito, dal punto di vista morale e politico, sui ricorrenti ed immutabili stilemi del neoliberismo discriminatorio e sessista. La disperazione quotidiana alimenta le fiamme della rabbia, ma la rabbia non può durare per sempre per cui, per non esserne consumati e sfiniti, è necessario non disperdere l’energia ed il calore che essa produce, ma incanalarli in speranza costruttiva, la quale, musicalmente, dà vita ai momenti più meditativi e melodici dell’album, che si alternano, in maniera efficace, al ruvido e combattivo background garage-punk.
Ciò, in definitiva, rende “Far Enough” un disco più vivo, intrigante ed eterogeneo, capace di uscire fuori da schemi sonori che, altrimenti, sarebbero troppo ripetitivi e scontati, passando dalla velocità, dal livore, dalla frenesia e dall’acidità di “Self-Made Man” al noise rock di “Anger’s Not Enough”, denso di sfumature, distorsioni, riverberi e feedback sofferenti e tenebrosi che sono un’esortazione ad essere meno apatici, a diventare più partecipi ed agire per tirarci fuori dalla nostra miseria che sta distruggendo non solo noi stessi, ma anche il mondo che ci ospita e di cui siamo parte, senza esserne assolutamente i padroni. Non lo siamo mai stati, nè lo saremo mai. La strada intrapresa, infatti, è quella del declino; la salvezza passa solo attraverso la consapevolezza e l’attivismo su cui fanno leva brani come “Lani” e “Not My Story“: bisogna riprendersi l’aria che respiriamo, il suolo su cui camminiamo, le nostre città, ad iniziare dalle periferie e dai luogi più abbandonati e lasciati a sé stessi; bisogna rendersi conto che non possiamo più essere dei semplici sudditi, dei passeggeri inconsapevoli, ma dobbiamo metterci alla guida e prendere il controllo delle nostre vite, delle nostre storie, delle nostre scelte.
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