Le atmosfere di “Casting The Circle” sono drammatiche ed evocative; le cupe vibrazioni metalliche vengono diluite con passaggi psichedelici e melodie epiche ed ancestrali, a partire proprio dall’omonimo brano iniziale che ci introduce ai magici rituali delle tre sacerdotesse.
L’album, nel suo complesso, è omogeneo, ma senza cadere mai nell’appiattimento, visto che si passa dalle sonorità di “The Hourglass”, influenzate dal calore appassionato di stoner e psych rock, a quelle della lunga “Invocation” che mescolano doom e progressive metal, ossessioni infernali ed antichi riti pagani, momenti di luce, dolcezza e melodia ad altri che sono vere e proprie escursioni nei meandri più bui e caotici della psiche umana, in un continuo, dispendioso e dinamico equilibrio tra l’elemento materiale e quello spirituale, mentre ci muoviamo, in bilico, sull’orlo sottile che separa il Bene ed il Male, alla ricerca dell’elemento trascendentale e divino presente in ciascuno di noi.
L’album ha un suo incedere lento e sacrale, non si preoccupa affatto del frenetico fluire del tempo: vive il suo presente, ma le sue ombre si allungano minacciose verso un misterioso futuro, prendendo origine da qualcosa di mistico, elementare, potente, vivo, che è celato nel nostro lontano passato e che le voci intrecciate della suadente “Ave Satanas” tentano di risvegliare. Quasi come fosse l’ultimo tentativo di chiudere il cerchio e permettere ad un nuovo ciclo di incominciare, esorcizzando le ombre che incombono sul nostro povero e dilaniato mondo, tentando di creare un magma sonoro unico, costituito dalle antiche e tenebrose melodie di “Erebus”, dall’acidità più blueseggiante ed elettrica degli anni Settanta, dalle ossessioni tecnologiche serpeggianti nel metallo moderno, da profumi di incenso e mirra che ricordano civiltà delle quali restano solamente miti, leggende e magnifiche rovine.
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