“Clara Luz” è un mondo a sé, che si agita e si contorce in un intreccio di chitarre e synth, dando vita ad un suono fatto di luce e di buio, di spettri che si agitano minacciosi sullo sfondo, ma anche di orizzonti brillanti che ci invitano a camminare spediti. Il timore e l’incertezza possono trasformarsi in pressione e renderci più soli, accrescendo quel muro di incomunicabilità che ci divide e nel quale “Cee” tenta di creare quella crepa, attraverso cui le sonorità dream-pop e shoegaze si diffondono attraverso tutto l’album, tentando di ritrovare un equilibrio tra il rumore e la sperimentazione, il bisogno di riflettere e quello di condividere.
Un equilibrio che passa anche attraverso le origini, mescolando presente e passato: da Los Angeles ai Fugazi, dai Boards Of Canada alla necessità di recuperare la purezza della propria identità, mentre i fantasmi dell’ipnotica e suadente “Ghost Leak” ci rammentano, parola dopo parola, quanto può essere amaro e doloroso diventare trasparenti ed insignificanti come dei fantasmi.
Il tempo è sempre estremamente fuggevole, per cui bisogna muoversi, inutile restare a lamentarsi e leccarsi le ferite, rischieremmo di rimanere imprigionati per sempre in quegli oscuri ed artificiali labirinti mentali da cui “Trauma Kit” ci sprona a fuggire via, per ritrovare, alla fine del brano, la luminosa ricompensa capace di scaldarci nuovamente l’anima e farci sentire vivi, pronti a riprendere il contatto con la realtà, ad affrontare ogni paura, ad accettarla, così come dovremo accettare noi stessi, il mondo circostante ed i nostri legami sociali ed affettivi per ciò che sono, per ciò che possono offrirci, per ciò che noi, a nostra volta, siamo in grado di offrire.
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