I tempi di “All In Good Time” scorrono inesorabili, ma senza alcuna fretta, plasmando, in base alle proprie esigenze narrative, le sonorità psichedeliche ed hard-rock sulle quali si innestano queste storie di isolamento, resistenza, morte e sopravvivenza che i Familiars affidano al vento.
Ciò che la band canadese dipinge è un mondo antico, ciascuna canzone definisce uno spaccato di vita del passato, ma le emozioni che si agitano sullo sfondo e che motivano le scelte dei protagonisti, tra orizzonti stoner-rock ed un cantato-parlato caldo e pulito, sono le medesime emozioni, buone e cattive, che influenzano, ancora oggi, le nostre esistenze.
Da queste vicende di alcool e saloon, di pistole e fughe rocambolesche, di strade polverose e gelidi inverni, mentre una natura distaccata e stupenda ci rammenta quanto siano piccoli e fragili gli esseri umani, emergono le nostre stesse passioni, i stessi nostri sogni, il nostro stesso spirito combattivo e competitivo.
Il rischio, però, è sempre il medesimo: quello di cadere nell’ingordigia ed in quella bramosia di possesso che ci porta a compiere le azioni più malvagie, trovandole necessarie e per certi versi addirittura giuste. Nella corsa all’oro di “Bonanza” è, infatti, raffigurata l’avidità dell’uomo moderno e iper-tecnologico, una vera e propria malattia dello spirito che ci trasforma in creature bulimiche ed insaziabili, perennemente insoddisfatte ed incapaci di apprezzare ciò che abbiamo: il nostro tempo, i nostri spazi, tutte quelle piccole cose che possono donarci la vera felicità. Questa nostra isteria collettiva, come quella che coinvolse gli antichi cercatori, ci porterà solamente alla follia ed alla rovina, trasformando l’oro a cui aspiravamo in un tormento di fuoco e fiamme, di zolfo e dannazione.
Riusciremo a salvarci solo se riusciremo a non cadere nelle trappole dei mercanti mediatici di sogni e di false speranze; se avremo la capacità di resistere al freddo di “Homestead”, il cui unico obiettivo è cambiarci in peggio, renderci più duri ed insensibili, più aggressivi ed arrabbiati col mondo, pronti, per qualsiasi motivo, a premere il dito sul grilletto, proprio come fa il vecchio di “The Common Loon”, incuranti del fatto che dall’altro lato della canna della nostra pistola nuova di zecca ci sia qualcuno che ha davvero bisogno di aiuto, che è solo, che è stato emarginato, che è stato costretto a lasciare la propria terra d’origine, che non ha avuto le nostre stesse sicurezze e possibilità.
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