I KVB hanno deciso di pubblicare il concerto tenutosi a “La Cigale”, a Parigi, il 29 Gennaio 2020, quando nessuno di noi, anche quello dotato della più fervida immaginazione, avrebbe potuto prevedere ciò che sarebbe accaduto nei mesi successivi. Ascoltare, dunque, un concerto avvenuto solo poche settimane prima della tempesta che si sarebbe abbattuta sul mondo intero ci rimpie di malinconia, ma allo stesso tempo ci offre la possibilità di rivivere e condividere, nonostante la distanza e la separazione fisica, delle emozioni che speriamo di poter assaporare nuovamente a breve. Le sonorità dei KVB spaziano dalle ambientazioni elettroniche, glaciali ed artificiali dei synth al calore ed all’umanità del mondo analogico del rock gotico, del dream-pop e dello shoegaze, mentre i brani proposti scorrono sognanti e suadenti, ma anche carichi di tensione ed oscurità.
Questo stato di crossover permanente mescola enfasi melodica, rarefatti e diluiti suoni sintetici, armonie vocali, ipnotica malinconia, romanticismo ed una turbolenta dose di inquietudine per ciò che ci riserverà il futuro imminente. Questi contrasti sono parte integrante nella nostra quotidianità, nella nostra intimità, danno forma sonora al buio ed alla luce che coesistono nell’animo di ciascuno di noi, invocando incubi tremendi e sogni fantasiosi, intrecciandoli tra loro nel sentimentalismo apocalittico di “Violet Noon”, brano che lega lo sconforto e la paura della fine con le vibrazioni appaganti e positive che siamo in grado di trasmettere e recepire quando siamo vicini alle persone che amiamo.
Ciò nonostante l’ansia permane minacciosa, manifestandosi nei passaggi più pressanti, materializzandosi in “Above Us”, in quella che è una tagliente critica al mondo moderno che sta assumendo sempre più i tratti bui e decadenti di una perfieria post-industriale globale e tecnologica, nella quale l’umanità viene schiacciata e sottomessa nel nome di un effimero e vacuo progresso, mentre all’orizzonte prende vita la Berlino aliena e morbosa, selvaggia e dolente di “Afterglow”; sarà davvero questo il nostro domani?
La risposta è nascosta dentro di noi, “Submersion” è il viaggio nei meandri della notte che vive nel nostro inconscio, tra synth sfavillanti, chitarre crude e minimali ed immagini sfocate, come se guardassimo il mondo attraverso una lente opaca che distorce la realtà e la rende opprimente ed asfissiante. Ritrovarsi assieme, creare qualcosa che duri, sono queste le uniche vie di fuga che permettono alle energie più positive di scorrere, come un fiume sottorraneo, all’interno del disco e delle nostre vite. La corrente interiore di “Never Enough” ci tiene uniti; è lo spiraglio attraverso cui la luce invade le fitte nebbie della solitudine e della depressione, che, oggi più che mai, sembrano essersi impossessate delle nostre esistenze, permettendo così alle atmosfere più dolci e rassicuranti di “On My Skin” di riempire il vuoto di queste stanze e portarci, utilizzando le divagazioni elettroniche dei Kraftwerk come mezzo di trasporto, dalla freddezza cinematografica di David Lynch al vivido e pulsante tepore dei Cure.
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