Quando il tuo mondo sembra scivolare sempre più verso un oscuro abisso, quando quelli che dovrebbero indicare una direzione da seguire appaiono sempre più persi ed incapaci di distinguere il proprio tornaconto personale da quello che è il bene collettivo, possiamo ritrovare la forza ed il coraggio per affrontare le asprezze dei tempi moderni solamente se guardiamo dentro di noi, a quello che avevamo di più caro, a quello che potremmo dover rinunciare nel prossimo futuro.
Lo psych-rock dei Lord Buffalo si tinge di tonalità tetre, ostili e malinconiche, attraversa, come un vento carico di dolorosi rimpianti, le città fantasma della frontiera; si bagna nelle acque limpide, gelide e vorticose del fiume dell’alternative country; riempie il suo orizzonte di sonorità innovative, suadenti e sperimentali, mentre da lassù il Sole si fa sempre più bruciante ed inclemente, trasformando le nostre città di cemento, vetro, metallo ed asfalto in dei veri e propri inferni di solitudine, rabbia, follia ed abbandono. Quando arriverà la pioggia ad accompagnare, nuovamente, il nostro cammino?
La bellezza e la potenza di “Tohu Wa Bohu” sta tutta nel riuscire a far diventare reali dei paesaggi remoti e mai visitati prima, i quali si susseguono, uno dopo l’altro, in un viaggio mistico che ci porterà a conoscere meglio noi stessi, a fare i conti con il lato buio delle nostre coscienze ed a superare quelli che sono i limiti e le preoccupazioni su sui abbiamo costruito le nostre vite. Come un cavaliere solitario attraverseremo periferie urbane, deserti sconfinati, cittadine abbandonate e cadenti, montagne enormi, mentre, intanto, l’intimità del folk si intreccerà alle sonorità più fragorose, robuste e metalliche del metal e le prime note di “Raziel” tenteranno di scavare, con le unghie consumate e sanguinanti, un varco nella densa foschia del nuovo giorno che sta per iniziare.
Un giorno che potrebbe anche essere, finalmente, generoso di pioggia, ma sta a noi cambiare il corso della nostra esistenza e rompere il meccanismo perverso che ci stritola ed avvilisce, cercando di essere migliori di quanto siamo stati ieri.
Ci sono passaggi feroci, scanditi da riff esplosivi e improvvisi ed altri che, invece, sono più lenti e meditativi, come in “Dog Head”, nei quali la sofferenza si trasforma in un muro solido ed impenetrabile che si stringe, sempre più, su di noi, sui nostri pensieri, sulle nostre emozioni, accompagnato da chitarre distorte e tamburi sempre più pressanti e corposi, che continuano a vibrare, imperterriti, anche nell’omonima e successiva “Tohu Wa Bohu”. Una canzone che si apre al mondo come uno scrigno magico da cui fuoriesce la luce primordiale dell’esistenza ed inizia la sua ennesima battaglia contro l’oscurità, per donare sostanza e soprattutto anima a quella terra vuota che ormai è dentro e fuori di noi, in modo che possa esservi un nuovo giorno, un nuovo inizio, una nuova genesi, descritta a forza di heavy-blues e folk-rock, di alt-country e stoner metal.
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