“Feral” è una colonna sonora per i tempi moderni, stretti tra l’annientamento delle proprie secolari certezze, un drammatico isolamento, un morbo che amplifica le reciproche diffidenze e la voglia di riprendersi gli spazi perduti e di esprimere a pieno la propria indivualità, mentre le persone, sempre più frequentemente, indossano le loro maschere d’odio social e sputano giudizi affrettati, menzogne ed una rabbia irrazionale e gratuita contro chiunque non si conformi e non si sottometta a quello che viene considerato il modo “corretto” o “giusto” o “naturale” di vivere, di pensare, di esprimersi, di vestirsi, di amare.
Sembra un’esagerazione lirica, ma c’è davvero gente che darebbe volentieri fuoco a tutto quello che non riesce a comprendere e con cui non ha alcuna voglia di confrontarsi e mediare. Intanto la band australiana va avanti con il suo colorato ed accattivante miscuglio di sonorità garage, post-punk, new-wave ed indie-rock, in bilico tra le luci sfavillanti degli Smiths, la voglia di rompere gli schemi tipica delle avanguardie DIY, le morbidezza jangle-pop ed il grigiore devastante di questo 2020, tra riverberi, orizzonti cinematografici, melodie e parole che fluiscono veloci dentro di noi con l’obiettivo di smontare, pezzo per pezzo, la macchina dei facili pregiudizi e della sistematica diffamazione con domande semplici e dirette, cariche di ironia, impegno e poesia: “Cosa pensi di me?”.
E voi cosa pensate? Gli RVG riescono ad essere intimi e personali, ma allo stesso tempo si rivolgono alla collettività intera; si avverte una certa tristezza che potrebbe portare alcuni di noi a cadere nella solitudine, ma la voglia di aprire e rendere visibile il proprio mondo, di mostrare che non è abitato da mostri o diavoli, alla fine, è più forte e dona al disco una luce vibrante, coinvolgente e tutto sommato positiva. “Feral” è, dunque, un disco che nasce personale, ma diventa sociale e quindi politico; un lavoro che va ben oltre i sogni e le aspettative del singolo individuo e diventa un vero e proprio messaggio civile, un’esortazione ad essere critici, ad avere gli occhi aperti e non seguire, pedissequamente, quelli che vogliono un mondo piatto ed ordinato, prevedibile e scontato, un mondo bidimensionale nel quale loro sono dalla parte giusta e tutti gli altri dalla parte sbagliata. Questo creare ghetti e divisioni, limiti e muri invalicabili, questo costruire nemici inesistenti, questo credere che ogni cosa debba ridursi ad una questione di forza, d’onore o d’orgoglio, non fa altro che indebolirci, ci fa soffrire e non fa altro che allargare sempre più la distanza che ci separa e quel buco che si sta aprendo, purtroppo, al centro del nostro petto; un buco che, invece, dovremmo tentare di chiudere per sempre e l’unica strada possibile per farlo è quella dell’inclusività, l’amore più potente che esiste.
Comments are closed.