Una miniera d’oro – senza più una propria identità – in cui anime afflitte (“Wish You Were Here”, Sparklehorse) sono costrette a vagare sotto l’occhio implacabile e tirannico del Tempo (“Time”, Godsmack) che non fa altro che stritolare la nostra realtà, frammento dopo frammento; l’unica possibilità di salvarne uno scorcio, è affidandolo alla magia, agli elementi fantastici (“Lucifer Sam”, The Well) ed alla capacità poetica di evocarli dal nulla, tanto da un semplice manuale di astronomia, quanto dai meandri più ignoti e più bui dell’universo (“Interstellar Overdrive”, Melvins) o da un viaggio mistico e mentale che conduce la nostra anima inquieta a bagnarsi nelle acque del Nilo (“The Nile Song”), nelle acque di Ibiza, nelle acque agitate di Estelle che ci spingono in una spirale di dimensioni alternative e claustrofobiche in cui siamo sempre più disorientati (“Cymbaline”, Hawkwind).
Figure femminili che si susseguono una dopo l’altra, come avviene nei sogni: Jennifer Gentle, la magia; Estelle, la dipendenza; e poi Emily (“See Emily Play”, David Bowie), l’apparizione, la luce nell’oscurità profonda di una foresta. Un esplicito invito a superare le proprie barriere e non aver pura di spingere la propria astronave verso il Sole (“Set The Controls For The Heart Of The Sun”, Kylesa). Lasciarsi andare, oltrepassare le apparenze dello show e mostrare i nostri simulacri umani (“Vegetable Man”, The Jesus And Mary Chain) perché solo in questo modo le persone possono riconoscersi le une nelle altre, ma spesso questo stupefacente potere è limitato dalle nostre vite frenetiche (“Fearless”, Low) che ci impediscono di essere davvero noi stessi e consentire alla nostra individualità di entrare in sintonia con il sonar che pervade il Creato (“Echoes”, Alien Sex Fiend), la cui voce viene spesso zittita dai meccanismi industriali (“Hava A Cigar”, Foo Fighters) e dalle logiche economiche (“Money”, Velvet Revolver) che governano le nostre giornate.
Ciò che pensiamo ci renda degli eroi, in verità, ci rende solo dei fantasmi (“Wish You Were Here”, Alice Cooper & Rick Wakeman) che il tycoon di turno, borioso e aggressivo, sfrutta e sacrifica sul suo altare di odio e follia (“Pigs:Three Different Ones”, Doom Side Of The Moon) con l’obiettivo di salvaguardare e perpetuare il sistema disumano e repressivo che ci vuole rendere tutti ugualmente sottomessi (“Another Brick In The Wall: pt 1,2,3”, Korn) e moribondi, in balia di uno stato febbricitante ed allucinatorio (“Comfortably Numb”, Mars Red Sky), mentre le autorità, politiche, civili, giudiziarie, di polizia e militari che dovrebbero tutelarci, non fanno altro – come Cani ubbidienti – che incuterci timore: “Mother, should I trust the government?” (“Mother”, Roger Waters, Sinead O’Connor & The Band).
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