Passaggi sonori cinematici che, nonostante lo sguardo rivolto all’immensità del cielo che ci sovrasta, convergono nello spazio molto più piccolo, ma altrettanto interessante e misterioso, della nostra intimità, laddove prendono forma le nostre idee, i nostri stati d’animo, le nostre emozioni. Esplorare questo spazio significa conoscersi meglio e, allo stesso tempo, conoscere meglio gli altri, il modo con cui creiamo i nostri rapporti sociali, lavorativi, amicali o affettivi.
In fondo non siamo altro che fragili foglie dell’albero della vita, apparentemente identiche, ma in realtà ciascuna con le proprie caratteristiche e peculiarità; condividiamo la luce del giorno, l’oscurità della notte, il soffio del vento, le gocce di pioggia, un ciclico susseguirsi di albe e di tramonti, di inverni e di primavere, finché non giunge il tempo di staccarsi dal ramo e tornare alla terra, in modo che la fine possa trasformarsi in nascita e la vita possa nuovamente rifiorire dal grembo scuro della morte.
Nonostante la lieve e liberatoria malinconia che pervade le sonorità strumentali di “Arché”, non c’è assolutamente traccia di pessimismo o dolore; vi è solamente la consapevolezza di dover abbracciare e rappresentare, musicalmente, l’esistenza nella sua completezza e perfezione, senza alcun timore, perché questa consapevolezza è l’unica strada possibile per riuscire ad essere veramente appagati e felici. Gli orizzonti post-rock di “Arché” riecheggiano dei suoni dell’universo; rappresentano la porta di accesso alla verità intima delle cose, liberandole dal velo di superficialità ed apparenza attraverso il quale, spesso, guardiamo il mondo.
Solo così, infatti, possiamo distaccarci dalle nostre giornate caotiche e frenetiche e possiamo comprendere come esorcizzare e sconfiggere quelle che sono le nostre paure individuali, quelle che si agitano, come ombre inquietanti, in “Silent Days”. Ma non esiste alcuna solitudine, alcun abbandono, se riusciremo a rinnovare i nostri pensieri e le nostre percezioni nella trasparente consapevolezza che tutti noi siamo parte della medesima entità vivente infinita, il cui respiro è percepibile in qualsiasi essere vivente, nell’essere umano e in tutto ciò che è frutto della sua fantasia e della sua creatività, come avviene per i paesaggi cosmici e stellari di “Keep Your Feet On The Stars”. E quando ogni catena fisica sarà finalmente spezzata, potremmo perderci nelle sfumature più spirituali, riflessive e lisergiche che chiudono l’album: nella sensualità avvolgente di “A L’Improviste” e nelle scie luminose di “Riyad”.
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