Alcune cose si dimenticano, altre, invece, ti restano scolpite dentro: la grande balena bianca, le sonorità new wave e synth-pop degli anni Ottanta, il crollo del muro di Berlino, le musichette a 8 bit elaborate da un Commodore-64, la convinzione che tutti assieme potessimo rendere questo mondo, finalmente, un luogo migliore. Ma le cose, purtroppo, sono andate diversamente: l’edonismo neoliberista ha preso l’assoluto controllo della nostra società e le nostre esistenze sono diventate sempre più aride, sempre più finte, sempre più solitarie, sempre più omologate ad un modello globalizzato di felicità creata in provetta, diffusa, ad arte, in rete, in maniera capillare, così da poter penetrare nelle nostre piccole realtà quotidiane, infettandole e rendendole identiche tra loro. Crediamo di essere liberi, ma in verità sopravviviamo per consolidare la forza ed il potere di quella ristretta élite virale che governa/infesta questo pianeta.
Viene naturale, quindi, guardarsi indietro, a giorni che ricordiamo essere più spensierati e gioiosi, esattamente come avviene ascoltando con le sonorità electro-pop dei The Mita. Ma la loro non deve essere assolutamente confusa con una resa incondizionata, con una fuga dal buio presente per trovare rifugio nella dolce malinconia e nel lucente romanticismo del passato. Il passato evocato dalla band avellinese può diventare il grimaldello col quale scassinare il lucchetto populista e narcisista stretto attorno alla nostra umanità; quel lucchetto che ci ha reso assuefatti al dolore ed alla sofferenza altrui, spezzando il naturale legame d’empatia che dovrebbe esistere tra le persone, soprattutto nei confronti di coloro che sono più deboli, più poveri, più emarginati. Ed, invece, sono proprio loro i nostri “migliori” nemici, soprattutto quando hanno un aspetto, un idioma o delle usanze che sono diverse dalle nostre, quando qualcuno ci convince del fatto che loro sono qui per portarsi via ciò che abbiamo ottenuto con fatica e sudore. Ma siamo sicuri di avere ancora qualcosa?
Il passato, dunque, va post-modernizzato, è fondamentale catturarne l’essenza, la vitalità, i sogni, i colori, i profumi, ma riportarli al tempo presente, attualizzarli e servirsene per dare al futuro un aspetto meno ombroso, fosco ed inquietante di quello che gli organismi di potere, i veri virus che invadono le nostre esistenze, vogliono inculcare nelle nostre menti e nei nostri cuori, in modo da continuare a fare i loro sporchi comodi, protetti dalla nostra stessa paura, annullando ogni pensiero critico, ogni passione, ogni metalmeccanico impeto d’amore.
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