Che fosse una questione di cuore l’avevamo già capito dopo la pubblicazione della darkeggiante “Fate” e della malinconica “Cold Heart“, due delle canzoni incluse in questo “The Night We Raise“, disco percorso da vibrazioni post-punk e darkwave che si mescolano, in maniera omogenea, a passaggi elettronici e synth-pop dolci e decadenti.
Certo, sarebbe possibile citare le atmosfere romantiche dei Cure, le aperture dance ed i passaggi sintetici dei Boy Harsher o il cielo uggioso, basso e dolente dei Joy Division, ma questo album è molto di più, in termini di originalità, perché mette in mostra la grande sensibilità del duo Morgy Ramone e Trey Frye, la loro capacità nel trasformare la delusione in uno stimolo per andare avanti. Uno dei brani più significativi, la già citata “Fate“, è sì la constatazione della forza con cui agisce il destino, ma ha dentro di sè, tra i suoi passaggi più oscuri, il seme della speranza, del prossimo incontro, di un nuovo e più promettente incrocio di “fati”.
I Korine hanno le idee chiare, non rinnegano affatto il glorioso passato, le sonorità electro-pop dei New Order o dei Depeche Mode, ma sono assolutamente liberi e svincolati da qualsiasi pregiudizio stilistico, da qualsiasi trappola emotiva che rischierebbe solamente di schiacciarli e rendere il loro sound il fantasma di qualcosa che è già esistito. Invece no, il duo americano ha ben piantati i piedi nel nostro presente, nelle proprie scelte sperimentali, nelle proprie tematiche, nelle proprie percezioni fisiche e spirituali.
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