Quanto tempo passiamo a fissare gli schermi luminosi dei nostri smartphone, dei nostri tablet o dei nostri pc? I nostri occhi si perdono in quel mondo virtuale, ma, intanto, il mondo reale continua a scorrere attorno a noi, a lanciarci messaggi, a scrutarci, a metterci alla prova, a scommettere sul nostro futuro. E noi assorbiamo tutto, lo interiorizziamo, lo rielaboriamo e lo inviamo, nuovamente, verso l’esterno: possiamo creare luci confortanti oppure ombre inquietanti, dipende da quello che abbiamo dentro, dalla nostra forza e dal nostro coraggio, dalla nostra voglia di combattere o di arrenderci, di stringere rapporti con gli altri o di chiuderci nel nostro finto e rassicurante mondo artificiale.
Le sonorità drem-pop e slowcore dei Perlee hanno il sapore di un ritorno a casa, ma, allo stesso tempo, nonostante la loro suadente e serena leggerezza, mettono a disagio: sono lo schermo sul quale vanno a sbattere le nostre incertezze, le attuali paure, le nostre ansie, gli scatti improvvisi di rabbia. Non possiamo rimanere fermi, né sperare che ci salvi il ricordo del passato o di un luogo caro, dobbiamo cambiare pelle, accettare il dolore della trasformazione, il sangue appiccicoso, i fantasmi che incombono sul nostro avvenire.
Oggi viviamo in una società che tende a nascondere il male, la perdita, la sconfitta, ad ignorare persino la morte, a rifiutare quei fantasmi; i Perlee riescono a superare questo limite che ci impedisce di crescere e di essere i reali padroni delle nostre esistenze; le loro ambientazioni e trame sonore riflettono, come dei veri e propri cristalli, ogni possibile sfumatura delle emozioni umane; ogni esperienza, anche la più negativa, è fondamentale perché contribuisce alla nostra maturità, al riconoscimento delle nostre mancanze e quindi può suggerirci un modo per colmarle, può insegnarci come poter trasformare il piombo in oro.
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