Nel 1970 i Led Zeppelin erano ormai all’apice della fama, avrebbero potuto continuare a sfruttare il momento propizio, ma invece preferino un periodo di distacco dal mondo dorato e venefico dello show business, sia perché era necessario recuperare l’energia, sia perché non volevano assolutamente ripercorrere, pedissequamente, la strada blues-rock del grandioso “Led Zeppelin II“. Il volume III doveva distaccarsi dall’album precedente, doveva mettere in mostra un altro lato della band: fu così che gli Zeps si ritirarono tra i monti e le colline del Galles, a Gwynedd, nella celebre Bron Yr Aur, che poi sarebbe divenuta una delle canzoni dell’album, ed iniziarono a registrare. In quel luogo magico, in quel “seno d’oro”, le sonorità di matrice blues ed hard rock vennero contaminate da elementi di provenienza folk, da immagini ed ambientazioni che ricordavano tanto la Contea tolkeniana, le antiche leggende nordiche di origine vichinga che ritroviamo nei riff incisivi e bellicosi di “Immigrant Song” e la poesia ancestrale degli antichi testi, quelli che descrivono le gesta di eroi coraggiosi, di Beowulf che decide di affrontare il proprio destino ed il temibile Grendel a mani nude. Un uomo contro un mostro. Ed eccoli, dunque, gli Zeps, ormai divenuti “martelli degli dèi”, che si muovono verso il proprio Valhalla, verso quei campi verdi che narrano storie di sangue, vendetta ed antichi massacri.
In “Led Zeppelin III“, quindi, a differenza dei suoi predecessori è forte l’elemento favolistico e fantastico che rende l’album anche un esempio di embrionale epic-rock nel quale la band inglese si lascia pervadere dai ritmi della natura, dai suoi rumori e dai suoi silenzi, dal suo misticismo, da suoi eterni cicli di morte e rinascita, ai quali l’uomo moderno, quello del 1970 ed ancor più quello di oggi, nonostante tutti i suoi strabilianti progressi scientifici e tecnologici, non può assolutamente sottrarsi. Ma nonostante l’alone magico e naturalista, il blues-rock dall’anima inquieta, peccaminosa ed oscura resta la base strutturale attorno alla quale si intrecciano le divagazioni sonore epiche, folkeggianti e psichedeliche dei Led Zeppelin. “III“, infatti, è un album eterogeneo nei contenuti: l’epica “Immigrant Song” sfuma nei rasserenanti riverberi folk di “Friends” che, a loro volta, si trasformano nell’incedere funkeggiante di “Celebration Day”, per poi giungere, finalmente, al culmine classico rappresentato dalle sonorità heavy-blues di “Since I’ve Been Loving You”, brano teso e sofferto nel quale gli Zeps cantano di un amore dannato e dolente verso una donna ingrata che conduce il protagonista di questa vicenda a perdere la ragione.
Quest’album, nel 1970, venne accolto in maniera più fredda e distaccata rispetto ai potenti e leggendari “I” e “II“, non tutti aprezzarono il cambio di toni e di poetica della band, ma, col tempo, brani come la già citata “Since I’ve Been Loving You”, “Immigrant Song” o “Bron Yr Aur Stomp” sarebbero diventati dei must del repertorio dei Led Zeppelin. Non possiamo prescindere, comunque, dal fatto che, quando parliamo di “III“, Page / Plant / Jones / Bonham avrebbero potuto non uscire dai binari remunerativi di “Led Zeppelin II“, invece i nostri quattro “Dùnedain” rifiutarono qualsiasi forma di adattamento e compromesso e scelsero la strada più tortuosa, ostica e difficile, sfidando, come gli eroi di cui cantavano le gesta ardimentose, il proprio imperscrutabile e misterioso destino.
Pubblicazione: 5 ottobre 1970
Durata: 42:42
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: Hard-Rock, Heavy-Blues, Folk-Rock
Etichetta: Atlantic Records
Produttore: Jimmy Page
Registrazione: Gennaio-Agosto 1970
1.Immigrant Song – 2:23
2.Friends – 3:54
3.Celebration Day – 3:28
4.Since I’ve Been Loving You – 7:24
5.Out on the Tiles – 4:05
6.Gallows Pole – 4:56
7.Tangerine – 2:57
8.That’s the Way – 5:37
9.Bron-Y-Aur Stomp – 4:16
10.Hats off to (Roy) Harper – 3:42
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