Recentemente, il 10 Ottobre 2020, a Manchester, sua città natale, è stato svelato un bel murale dedicato al cantante dei Joy Division, Ian Curtis, scomparso a soli 23 anni nel 1980, ma la sua opera ed il suo lascito umano ed artistico sono stati fondamentali per il mondo della musica e in particolar modo per quel movimento artistico, considerato inizialmente ed erroneamente composto da eroi perduti, perdenti ed emarginati, che oggi, invece, sappiamo aver avuto ed avere un’importanza immane sui decenni successivi.
Ma facciamo un passo indietro…
Negli anni Sessanta produzione industriale e distribuzione commerciale fecero sì che la musica assumesse una reale rilevanza politica e sociale; la musica non era più, di conseguenza, il semplice luogo dell’anima. Ma, come sempre avviene, la “morte” di qualcosa si trasformò immediatamente nell’impulso per la nascita di qualcos’altro ed il pop si fece importante e fondamentale strumento di propaganda e consenso per i movimenti, i partiti, le associazioni, le idee di stampo social-democratico, finché – più o meno alla fine degli anni Settanta – l’ostilità anti-sociale dei proletari londinesi, emarginati, disillusi ed arrabbiati, non divenne qualcosa di a sé stante, facendo sì che gli occhi del mondo intero guardassero all’Inghilterra e trasformassero, ancora una volta, il punk nel loro grandioso sogno rivoluzionario, decretandone così, in maniera inevitabile, definitiva e prematura la sua stessa fine.
L’ennesima farsa del rock’n’roll, l’ennesima trovata commerciale, l’ennesimo palliativo sociale, l’ennesimo patologico ed insano slancio omicida che spingeva questo Crono mediatico, che era (e lo è ancora) il gran carrozzone dello show business, a ingoiare, senza alcuna esitazione o rimorso, i suoi figli appena nati.
Non tutto, però, finì nel trita-carne mediatico, perché, ormai, il grosso sasso che avrebbe rotto i decennali cliché del rock era stato finalmente trovato e consegnato a Rea e qualcosa, senza che Crono potesse averne sentore, stava iniziando a muoversi tra le ombre del nuovo decennio che stava iniziando, andando a sovvertire davvero le regole e le convenzioni non scritte, ma tacitamente accettate, di quel mondo chiuso e formale; andando a sperimentare intensamente fonti diverse, come l’elettronica, e mescolandole con elementi afro, world, modernisti, rumoristi ed avanguardisti; tentando di appropriarsi dei nuovi mezzi tecnologi, sforzandosi di concepire nuove tecniche di produzione e registrazione, nonché di fare dell’essenzialità, della fluidità, della spigolosità, della sua sprezzante e malinconica disillusione, della sua cruda visione del mondo, i propri tratti poetici vincenti e distintivi.
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