Nemo. Nessuno. Un luogo nel quale sia possibile isolarsi ed ascoltare l’eco degli innumerevoli mondi, i cui riflessi giungono fino a noi, a volte come sogni innocui, a volte come incubi terribili, come visioni mistiche, come assurdi miraggi o come quelle magiche intuizioni, che, a loro volta, stimolano la nostra fantasia e la nostra creatività.
Piovre gigantesche, tempeste improvvise, abissi profondi, pericolose secche, sonorità strumentali di matrice post-rock che navigano ben oltre i sette mari conosciuti, mescolandosi ed intrecciandosi a vibranti passaggi shoegaze ed a quelle ambientazioni, lente e psichedeliche, capaci di condurci sempre più lontano dall’artificiosità polemica ed omologante dei tempi moderni. Verso i meandri inesplorati del nostro io, verso quel punto inaccessibile e remoto in cui è celata la nostra stessa essenza, costantemente minacciata dalle rabbiose e maligne creature lovecraftiane. Creature di puro odio che bramano distruggere il nostro mondo, piccolo o grande che sia, i nostri ideali, le nostre certezze, le nostre passioni ed i nostri sentimenti, ma dinanzi alle quali la musica della band bergamasca si trasforma in una difesa invalicabile; “The Hovering” assume le sfumature epiche di una colonna sonora strumentale, drammatiche, orrorifiche e spaziali, impedendo così ad Azathoth di risucchiare e fagocitare la nostra umanità.
Ebbene sì, anche tra le accelerazioni fluide di “Point Nemo”, ciò che abbiamo lasciato in sospeso può tornare a perseguitarci e farci sussultare, perché dietro le calme e pacifiche onde di “Hope in the Storm” può celarsi un doloroso uragano e quello che pensavamo essere il nostro idilliaco angolo di paradiso potrebbe trasformarsi, in un batter d’occhio, in un vero e proprio cimitero. E così perderemmo la leggerezza faticosamente acquisita, non potremmo più restare sospesi sull’orizzonte degli eventi, ma ci ritroveremmo a dover combattere e sforzarci per rimanere a galla tra i detriti, i rifiuti e gli scarti della nostra società iper-tecnologica, caotica e perennemente affamata di tempo, per la quale ciò che conta è solamente questo statico e formale presente dal fondale troppo basso per potersi allontanare.
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