La solitudine può essere nutrimento per lo spirito ed il corpo, soprattutto quando riusciamo ad entrare in sintonia con i luoghi che ci circondano, con la loro essenza pura e primordiale, riuscendo ad oltrepassare le sovrastrutture artificiali di pensiero, imposte dalla società moderna, che, solitamente, ci condizionano e ci frenano nelle nostre scelte. La bellezza è fare in modo che la nostra anima entri negli alberi, nelle foglie, nel cielo, nelle montagne, nella dura roccia di “Re di Pietra”, nella nuda terra, in tutte le creature viventi; la bellezza è comprendere e percepire le forze silenziose che tengono assieme la materia, che regolano il flusso delle stagioni, che consentono alla vita stessa di rinnovarsi e di rinascere.
Nel momento in cui percepiamo queste misteriose presenze, è ovvio che non siamo più soli, ma abbiamo acceso una luce di speranza dentro di noi; una luce che ci farà vedere le cose in modo diverso, soprattutto quelle che appartengono alla nostra frenetica quotidianità, alla sfera sociale, affettiva, familiare o lavorativa; saremo più pronti ad ascoltare gli altri, più pronti a vedere, a toccare, ad assaporare e, di conseguenza, a custodire ciò che di positivo risiede nelle nostre vite, rinunciando, più facilmente, a tutto ciò che è solamente superficialità, apparenza, mero consumo, ricerca spasmodica di compromessi, di sotterfugi e di finzioni che non fanno altro che farci vivere male, aumentando ansia, frustrazione ed insoddisfazione.
Le ambientazioni sonore dei Nitritono, con le loro sfumature oniriche e post-metal, offrono una visuale diversa del nostro mondo, ne mettono in mostra il lato occulto e profondo; esorcizzano il caos ed il rumore mediatico che avvolgono il pianeta, ponendo al centro del disco la voce della natura e costruendo su di essa le proprie trame sonore. Trame che spuntano dal buio della terra, intrecciando ed alternando momenti e passaggi più cattivi, densi e sludge-metal, come avviene in “Passo di Terre Nere”, con altri che, invece, sono più melodici, rarefatti e psichedelici, come nella calda e vibrante “Samos”, per poi alzare, nel finale, la tensione e trasformare le rabbiose urla liberatorie di “Bric Costa Rossa” nell’epica, sperimentale e conclusiva “Costa da Morte”, nella quale le sonorità noise-rock del duo piemontese si fanno più estese e minimali, più consapevoli delle emozioni che trasportano e di cui esse stesse sono parte integrante, così come una semplice foglia, un fiore, un sasso, una goccia d’acqua, una minuscola ape, sono parte di qualcosa di magico e miracoloso, capace di trascendere il tempo e lo spazio e renderci eterni.
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