Un miscuglio infiammabile ed esplosivo di garage e punk-rock, sporco, disordinato e rumoroso al punto giusto, ma capace di trasformare le proprie asperità e imperfezioni in un valore aggiunto, in qualcosa che dona al disco un efficace e prorompente dinamismo, facendo sì che il suono non risulti eccessivamente omogeneo e ripetitivo, nelle sue crude sonorità e nei suoi taglienti riff di base. La band australiana, infatti, comprende, sin da subito, che bisogna offire delle variazioni, perché anche il non voler avere alcuno schema di riferimento – alla fine – può trasformarsi in una sorta di regola non scritta che può togliere spazio all’imprevedibilità ed ai cambi di ritmo e velocità che rendono selvaggio ed affascinante il trittico centrale “Going Numb”, “Mr Situation”, “Going It To Go”.
Nonostante gli Stiff Richards abbiano dosato, in parte, le loro interperanze soniche, rispetto al recente passato, il disco, tutto sommato, ne ha ampiamente goduto, senza perdere la sua sfrontatezza e la sua causticità. Anzi, ci sono passaggi, come in “Glass”, nei quali il senso di claustrofobia diventa qualcosa di palpabile ed asfissiante, qualcosa che ti piomba addosso come un pesante macigno, spronandoti ad agire, a liberarti, a saltare con tutta l’energia di cui disponi, in una sorta di danza catartica, ancestrale e nichilista, fatta di muscoli, sudore e nervi tesi.
Vita vera, in pratica, qualcosa di cui, in questo fottuto e nefasto 2020, ce n’è davvero bisogno. Gli Stiff Richards hanno, a modo loro, senza restarne troppo invischiati e forse senza neppure rendersene davvero conto, anche celebrato il passato, riadattandolo e proiettandolo negli anni a venire, iniettando nuova linfa cardiaca nella tradizionale struttura intro-voce-ritornello-finale e dimostrando come, spesso, non bisogna necessariamente invertarsi chissà che, quale astruso e complesso linguaggio, è sufficiente aver padronanza dei propri mezzi, delle proprie chitarre affilate, delle proprie ritmiche essenziali ed ipnotiche, delle proprie urla liberatorie, delle proprie pause, delle proprie emozioni, in maniera tale da poterle incanalare e trasmetterle agli altri.
Questa è la vera forza del punk, la sua perenne attualità, sia che si tratti degli MC5, degli Stooges, del 1977 o di questi cinque ragazzi di Melbourne. Non è una questione di stile o modelli, di contrapposizioni ideologiche, di rifiuti ed anarchia, è soprattutto una faccenda umana, nella quale non sono richiesti eroi e non saranno richiesti mai.
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