Il nuovo album dei Pallbearer si apre all’insegna del tempo; un tempo che scivola via e cancella tutto quello che siamo stati, tutto quello che abbiamo realizzato, tutto quello per cui ci siamo battuti, tutto quello per cui abbiamo sofferto e gioito. Ma ormai sembra che più nulla abbia importanza e riesca a resistere a questa inesorabile furia distruttiva; il baratro del definitivo oblio è così profondo… E noi ci stiamo avvicinando, ogni giorno, sempre di più.
“Forgotten Days” è il flusso di momenti che questa dannata malattia, che è il morbo di Alzheimer, ci strappa via; ce li strappa uno dopo l’altro, fino a che non diventiamo un foglio bianco, stanco e stropicciato. Si avverte, di conseguenza, una forte dose di malinconia, nonché l’accettazione dolorosa di uno stato di distacco fisico e mentale dalla persona amata, rispetto al quale le sonorità della band americana assumono uno spessore sempre più consolatorio, si trasformano in un abbraccio amorevole che ci sprona a recuperare ogni granello di quel tempo che osserviamo fuggire via, conservandolo dentro di noi, in ciò che riusciamo a esprimere e trasmettere agli altri, anche attraverso l’arte e la musica in particolare.
Le ambientazioni musicali sono eterogenee, vi sono passaggi più morbidi di matrice prog-rock, che ripropongono lo spirito live viscerale e passionale delle registrazioni tipiche degli anni Settanta, e poi vi sono, passaggi più cupi, evocativi e drammatici che spingono la band dell’Arkansas verso l’epicità dolente e struggente del doom metal. Ma tutto avviene con estrema naturalezza, come se si trattasse di un necessario ed indispensabile momento di condivisione, nel quale non esiste più l’artista ed il suo pubblico, ma emerge soprattutto il bisogno di potersi sfogare liberamente con persone con le quali è possibile condividere i propri sentimenti, i propri stati d’animo, le proprie esperienze più intime.
Si tratta d’una sorta di famiglia allargata, una dimensione, quella del disco, nella quale poter essere sé stessi, tanto nei momenti più duri e rabbiosi, quanto in quelli più pacati e meditativi, che, in fondo, sono i due punti focali di questo lavoro affinché la memoria / essenza di ciò che siamo stati continui a vivere, oltre ogni malattia, nella forma e nella sostanza di queste otto canzoni.
Comments are closed.