L’indie-folk fluido e rarefatto dei Black Tail ritrova la sua dimensione più consona e naturale nelle sfumature misteriose ed itineranti di un viaggio. Viaggio nel quale la destinazione ed il quando sono del tutto secondari, rispetto, invece, al piacere di transitare e spostarsi, di trovare – lungo la strada – qualcosa da dare in pasto alla propria inquietudine interiore, qualcosa che ci faccia sentire vivi, qualcosa che ci faccia sentire così bene da poter definire queste sensazioni “casa”.
Forse ci perderemo ancora oppure ci ritroveremo all’improvviso; in fondo ciò non è importante, la cosa fondamentale è che questo essere altrove è l’unico modo di cui disponiamo per poter fermare, davvero, lo scorrere inesorabile del tempo; per ritornare ad essere più giovani e più sciocchi; più innamorati e più ignari.
Ed in un momento storico, nel quale, spesso, soprattutto per la l’incapacità, l’insicurezza e la frenesia dei nostri governanti, ciò ci viene brutalmente ed ottusamente impedito, le sonorità guitar-pop dei Black Tail, che ci riportano alle atmosfere melodiche e sognanti degli anni Sessanta, sono l’unico “mezzo” per poter fissare i nostri ricordi e le nostre emozioni a luoghi, persone, culture e storie, così distanti e così prossime alla nostra. C’è, senza alcun dubbio, un aspetto onirico e fantastico in tutto ciò, ma c’è anche – per chi è ancora capace di vedere oltre i suoi meri interessi di parte – un percorso di crescita e consapevolezza personale, che ci renderà sempre più forti e più completi.
How many roads must a man walk before you can call him a man?
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