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Il Parco Paranoico

Quando il Punk nacque in America

Mik Brigante Sanseverino Novembre 7, 2020 Parole Nessun commento su Quando il Punk nacque in America

Quando nacque il punk? Il punk nacque quando un batterista di nome James Newell Osterberg Jr., dopo una nottata a base di acido, ebbe una visione ed il giorno dopo decise che non avrebbe più suonato la batteria per un gruppo blues, ma avrebbe portato il blues della sua anima nei ghetti e nelle periferie del mondo. Quello fu il giorno in cui nacque davvero il punk.

Ma facciamo un passo indietro, era il 1969 e la guerra del Vietnam ammazzava decine e decine di migliaia di civili e soldati da entrambe le parti; alcuni attivisti, in seguito famosi come Chicago Seven o Eight includendo anche il leader delle Pantere Nere, organizzarono una manifestazione contro la guerra che si sarebbe svolta a Chicago in occasione del congresso del Partito Democratico, il partito dell’allora presidente Lyndon Johnson, il quale aveva fortemente accentuato le operazioni belliche in Indocina. Gli organizzatori contattarono diverse band, ma gli unici a presentarsi ed esibirsi furono gli MC5, con quel loro garage-rock accelerato e sfrontato da cui sarebbe germogliato il punk: “Kick Out The Jams” fu intensa e potente, un diamente grezzo che non aveva nulla a che vedere con le atmosfere folk-rock e blues degli anni Sessanta. Gli MC5 erano impregnati nell’acciaio e nel rumore di Detroit, città industriale e proletaria, lontana anni luce dalla assolata ed acida California hippy.

La leggenda narra che gli MC5, poco dopo, assistettero ad una esibizione di quel batterista, James Newell Osterberg Jr., e gli proponessero di unirsi alla band; non sappiamo se ciò sia realmente avvenuto, lo stesso James ha qualche dubbio, secondo gli MC5 egli rifiutò perché avrebbe voluto continuare a suonare il tradizionale folk-blues americano, ma non aveva fatto i conti con quella fatidica notte da cui è incominciata questa avventura e soprattutto con la visione che avrebbe donato al mondo la prima vera punk-band della storia: gli Stooges di Iggy Pop.

Ma James o meglio Iggy aveva bisogno dei suoi compagni di viaggio, decise di assoldare quelli che fino ad allora erano stati solo dei comuni bulli di periferia, i fratelli Asheton ed un loro amico, Dave, che possedeva un basso ed un amplificatore. Più che la musica, però, furono la rabbia e la frustrazione, la povertà e la noia, il vero e proprio carburante di quella creatura sporca, anti-conformista e rumorosa che erano gli Stooges, i primi punk prima che questo termine avesse una qualsiasi rilevanza musicale. Quella tensione e quella insoddisfazione non potevano che trovare ampio sfogo e diffusione in una città come New York, che tra il ’69 ed il ’70, era ridotta davvero male. Una città povera e disillusa, nella quale la gente sfogava la propria depressione o nel sesso o nella droga, per la quale non sembrava poterci essere alcun futuro roseo e che ormai era diventata il centro di aggregazione di ogni disperato della nazione, l’unico luogo in cui la miseria, la sporcizia e il degrado li facevano sentire parte di qualcosa.

In questo contesto alcuni ragazzi che frequentavano lo stesso liceo, ad inizio degli anni Settanta, impressionati da MC5 e Stooges, pensarono di metter su la propria band, uno di loro, Sylvain Sylvain, pensò di contattare un compagno di bell’aspetto sempre circondato da ragazze molto carine, sarebbe stato un buon modo per avere successo ed anche abbordare delle donne. Ma il ragazzo, il suo nome era Giovanni Genzale, di evidenti origini italo-americane, rifiutò, dicendo di non avere affatto voglia di mettersi a suonare. Dopo poco tempo Genzale bloccò Sylvain in mensa, a scuola, e gli domandò quante corde avesse una chitarra. “Sei”, gli rispose Sylvain. “Troppe. Ed un basso?”, continuò Giovanni. “Quattro!”, fu la risposta. “Bene”, proseguì Genzale, “allora io sarò il bassista”. Di lì a poco avrebbe, invece, imbracciato anche una chitarra e sarebbe diventato famoso come Johnny Thunders, uno degli eroi maledetti del rock ‘n’ roll, soprattutto a causa dei suoi eccessi di alcool ed eroina. La band, di cui stiamo parlando, sarebbe divenuta celebre come New York Dolls. Furono loro, sarti mancati, a introdurre nel punk l’aspetto più modaiolo ed estetico, furono loro a creare il legame con il glam-rock, ad introdurre vestiti eccentrici, spesso femminili, tacchi e trucchi, suscitando le ire sia dei benpensanti, che dei movimenti civili per i diritti degli omosessuali che non vedevano di buon occhio tutta quella deliberata e esagerata appariscenza. Una volta a David Johansen, il cantante androgino dei NY Dolls, domandarono se loro fossero omosessuali oppure no, lui rispose che i New York Dolls erano semplicemente dei sì-sessuali perché dicevano sempre sì, sì a tutto ciò che gli proponessero.

Ma quella musica non piaceva al paese, la ascoltavano per lo più a New York e soprattutto in una manciata di locali: il Max’s Kansas City, il Club 82, CBGB’s che, all’epoca, erano poco più che delle bettole sporche e chiassose, ma che divennero anche una sorta di laboratori artistici nei quali molte band, spinte dalle gesta e dalle sonorità grezze e caotiche di MC5, Stooges, Iggy Pop, New York Dolls, iniziarono a farsi le ossa, a creare il loro sound peculiare, ad avere il proprio seguito di fan, seppur limitato alla metropoli newyorkese.

Anche qui c’è una sorta di leggenda secondo cui quando il CBGB’s aprì i battenti doveva essere soprattutto un club per la musica country, quindi qualcosa di assolutamente tradizionale; i gestori decisero di chiamare Wayne County, di cui avevano sentito parlare e credevano facesse, appunto, musica country. Non sapevano che Wayne County era il nome d’arte di un transessuale che si esibiva con una band, gli Electric Chairs, celebre per i suoi testi provocatori, osceni e pieni di riferimenti sessuali, ispirata dalle gesta di Iggy Pop. Fu così che il CBGB’s non divenne mai un locale country, ma si trasformò in quello che sarebbe divenuto il tempio del punk e della musica alternativa di New York. Tra i collaboratori di Wayne c’era un certo Marc Steven Bell che, qualche anno più tardi, nel ’78, sarebbe entrato in una delle band che, tentando di emulare i New York Dolls, stava muovendo i suoi primi passi sul palco del CBGB‘s, proponendo pezzi velocissimi, concerti di 20 minuti al massimo, unendo i giubotti di pelle nera dei NY Dolls ad uno stile musicale che ricordava dei Beach Boys fatti d’anfetamina: i Ramones.

Quella musica arrabbiata e veloce non aveva nulla a che vedere con la politica, come sarebbe accaduto in Inghilterra qualche anno più tardi, era soprattutto voglia di divertirsi, di fare casino e fregarsene delle regole e della morale perbenista vigente al tempo in America. Nessuno parlava di punk, “punk” era un termine che, in America, poteva denotare i delinquenti in genere, ma anche gli sfigati e nell’ambiente carcerario era il nomignolo dato ai ragazzi più giovani che accettavano di avere rapporti sessuali passivi con gli altri detenuti. “Punk” era un termine, quindi, che non piaceva assolutamente alle band. I Ramones, tra i primi ad essere identificati con quell’aggettivo, non ne volevano sapere e così pure una band non ancora famosa che stava iniziando ad aprire i loro show al CBGB‘s, i Blondie di Dabbie Harry. Quella parola era entrata nel giro della musica alternativa, sfrontata, sporca e ribelle suonata al CBGB‘s perché un fumettista, John Holmstrom, ed uno sfaccendato critico musicale, Legs McNeil, nel ’75 avevano creato quella che oggi sarebbe chiamata fanzine in cui univano la musica rumorosa degli Stooges o dei New York Dolls e successivamente dei Ramones e della altre band newyorkesi al mondo bizzarro dei fumetti, alla vita notturna ed underground della città, al CBGB‘s ed agli altri club frequentati dai quei giovani che gli adulti, i moralisti, i tradizionalisti definivano pochi di buono o checche o stupidi delinquenti, “punk” appunto.

E punk sia.

Poco dopo la metà degli anni Settanta, dunque, gli elementi ci sono tutti: gli MC5 e gli Stooges gli hanno dato la spina dorsale elettrica, Iggy Pop l’irriverenza, i New York Dolls l’aspetto e il gusto per l’eccentricità, i Ramones la velocità e la rivista “Punk” l’interesse per le arti visuali ed i fumetti, oltre che il nome. Ma come abbiamo già detto agli Americani non newyorkesi , quella musica non piaceva e quindi non vendeva; non piaceva agli hippy ed ai movimenti antagonisti perché era troppo politicamente scorretta; non piaceva ai borghesi perché era sconcia, sporca, stupida e irrispettosa. Gli stessi MC5 erano stati letteralmente cacciati dalla loro casa discografica, la Elektra, semplicemente per aver usato apertamente la parola “motherfucker”, cadendo in una spirale auto-distruttiva di alcool e droga che li avrebbe condotti alla rovina. Alcoolismo e droga, soprattutto eroina, erano costate parecchio anche ai New York Dolls, ormai senza alcun manager e completamente lasciati a sé stessi, ai propri eccessi, alle proprie dipendenze, tant’è vero che l’ultimo colpo di coda, quello che poi li portò al conclusivo scioglimento, lo ebbero quando Sylvain incontrò, per puro caso, in strada, un suo conoscente, uno che era stato parecchie volte a vederli dal vivo, un inglese, Malcolm McLaren, compagno di una stilista che si stava facendo via via strada nel mondo della moda, Vivienne Westwood. I NY Dolls affidarono a Malcolm McLaren le loro ultime energie, il manager pensò che era necessario fare in modo che i riflettori dei media puntassero nuovamente sulla band, il glam-rock ormai era stato ampiamente sfruttato, per cui decise di sfidare gli Americani vestendo i NY Dolls completamente di rosso, in una sorta di omaggio all’odiata Unione Sovietica e ai temibili comunisti; gli Americani, infatti, andavano su tutte le furie quando qualcuno, soprattutto nel loro amato paese, sosteneva apertamente il comunismo, ma il risultato non fu quello sperato. Gli Americani non credettero a quella messa in scena, i NY Dolls erano stati troppe altre cose per poter convincere la classe media che fossero davvero interessati alla politica ed al comunismo, per cui alla band, dopo le ennesime peripezie a base di alcool e droga, non rimase che sciogliersi.

Malcolm decise di tornarsene in fretta e furia a Londra, voleva aprire un suo negozio di moda, sfruttando, in parte, anche quelle idee – come le t-shirt ridotte a brandelli e l’uso di spille da balia un po’ ovunque, che lui e Vivienne avevano iniziato a proporre proprio a New York. Il negozio si sarebbe chiamato “Sex” ed avrebbe avuto una sua band di riferimento, disse il manager ai New York Dolls. Inoltre, una volta avviato quel business, continuò, li avrebbe certamente contattati ed avrebbe proposto loro di trasferirsi in Inghilterra in modo da continuare la propria carriera musicale sotto la sua guida. In realtà le idee di Macolm o meglio “Malcolm che posso fare per me” come lo avrebbe chiamato più tardi John Lydon, alias Johnny Rotten, erano altre: quella chiamata non sarebbe arrivata mai e di lì a poco, dopo l’apertura del “Sex”, la band che avrebbe diffuso il verbo punk inglese – più incazzato, ostile, distruttivo e nichilista – sarebbe stata un’altra. 

Here’s The Sex Pistols.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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