Il mare spettrale dei Dark Buddha Rising è la rappresentazione musicale del mare della nostra coscienza inquinata e tumultuosa, un mare nel quale potremmo perderci per sempre oppure che potrebbe spingerci ad arenarci su di un’isola deserta, modellata, solo ed esclusivamente, sui nostri schemi mentali. Nel primo caso ci distruggeremmo e nessuno potrebbe salvarci dalla follia; nel secondo caso, invece, diventeremmo sempre più vuoti, aridi, estranei ed alieni persino a noi stessi.
Come salvarsi, allora, dalla completa dissoluzione del proprio io? Il buco nero concepito dalla band finlandese, intriso di sonorità doom, sludge e prog-metal, risucchia le nostre vite materiali, le fa a pezzi e ce le restituisce, come un antico inno tribale, sotto forma di riff oscuri, di riverberi apocalittici, di echi malinconici nei confronti di qualcosa che sappiamo di aver perduto e che non riusciamo più a mettere a fuoco. C’è troppo caos, ci sono troppe voci. Ed intanto l’oblio è sempre più vicino e più ne sentiamo il respiro, più acquistiamo parte della consapevolezza smarrita, come se la rinascita richiedesse, necessariamente, un sacrificio estremo, una perdita enorme, una prova di sofferenza atroce, senza la quale i nostri occhi, il nostro cuore e la nostra mente sono destinati a restare chiusi per sempre.
“Mathreyata” accorpora nelle cupe trame di matrice metallica, atmosfere ipnotiche e psichedeliche, che, oltre a rendere più caldi, eterogenei e morbidi i brani dell’album, hanno l’obiettivo di farci concentrare solo sulle cose davvero importanti dell’esistenza umana, un modo per potersi distaccare dai propri errori, per potersi riconciliare con il proprio passato, per poter riconoscere tutte le proprie mancanze ed accettare i propri difetti. Liberandosi da tutto ciò che ci appesantisce e ci rende frustrati ed infelici, forse, riusciremo ad opporci alla forza della corrente e ci avvicineremo nuovamente verso la riva. Con calma e serenità, senza agitarsi, senza lottare inutilmente contro nemici che, a ben vedere, sono solamente dei fantasmi; li abbiamo creati noi stessi e quindi solo noi possiamo distruggerli: esigenze, necessità, obblighi, bisogni, cose, oggetti, che non sono affatto naturali, che non hanno nulla a che vedere con quella luce che vediamo in fondo al tunnel. Una luce che non è quella della fine, come vogliono farci credere, pur di farci restare qui – in apnea – a combattere mostri inesistenti, così da poter sfruttare le nostre migliori energie, ma che è quella del nuovo inizio; un inizio che, ovviamente, non può essere gratuito ed indolore, perché richiede una presa di coscienza, delle rinunce, un nuovo modo di vivere e rapportarsi agli altri, più spontaneo, più diretto, più vero e soprattutto al di fuori di qualsiasi schema di tipo economico o di mero arrivismo sociale.
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