Gli echi profondi e le atmosfere estranianti di “Maledetti” naufragano tra le nostre speranze disilluse, i corpi ormai cadenti, i vestiti logori e consumati, le sonorità lisergiche e metalliche di “Marnero”. Non c’è più una vera e propria strada da percorrere, le acque oscure del tempo hanno fagocitato ogni secondo delle nostre esistenze, ogni stimolo sensoriale, ogni impulso improvviso, ogni frammento poetico. Forse è giunto il momento finale e dovremmo affidarci alle amorevoli cure di Mnemosine, chiuderci nei nostri ricordi e poi chiudere gli occhi per sempre, attendendo che la marea ci conduca altrove, nelle profondità ancestrali dell’oceano, nell’antica città di Atlantide, in attesa di un nuovo ciclo; di un nuovo inizio; di un nuovo parto, così che le rinate Muse possano nuovamente abbracciare il nostro mondo, il nostro paese, il nostro futuro e cancellare questo mare di detriti, di fossili, di scorie e di macerie.
Disorientamento, alienazione, scoramento, le sonorità dei Solaris danno forma e sostanza a questo atlante di emozioni cupe; già lo facevano musicalmente, ora è evidente anche visivamente. I soldati di “Un Paese di Musichette mentre fuori c’è la Morte”, però, iniziano ad avere dubbi; iniziano a vacillare; la catena è sempre più fragile; i loro padroni appaiono sempre meno sicuri di sé; anche nel mondo virtuale si inizia a sentire il respiro angoscioso di Ade. Ed allora nelle trame post-metal e noise-rock della band cesenate, nel loro muro di dura e fredda roccia, si creano delle lesioni e delle fratture, da cui il soffio vitale di Persefone, le sue melodie e tessiture alternative rock, intrinse di anni Novanta, penetrano nel nostro animo inquieto, facendo sì che la passione, quella vera, ci restituisca le indispensabili fiducia e speranza verso un futuro migliore.
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