I Topographies riflettono sulla distanza che, molto spesso, si viene a creare tra ciò che vorremmo essere e quello che, invece, siamo e che riusciamo, effettivamente, a realizzare. La crepa tra questi due mondi può essere pericolosa, persino mortale. A volte, infatti, ci lasciamo risucchiare dalle invitanti e piacevoli promesse che provengono dal fondo, restiamo paralizzati oppure, peggio ancora, ci lanciamo nel vuoto, perdendoci per sempre.
La band americana tenta di riempire questa ferita perennemente aperta con le sonorità post-punk, dark e synth-pop di “Ideal Form”, mostrando come la passione può, in parte, lenire la malinconia ed il senso di impotenza che ci angoscia e ci inquieta. La musica assume la funzione di un medicamento per l’anima, ci permette di volare e di superare il burrone, di aggrapparci ai nostri sogni, di guardare dentro di noi e recuperare il terreno perduto.
“Ideal Form” è uno specchio, ci fa vedere cosa siamo, ma anche quello che non abbiamo ancora sfruttato e che è sopito nel nostro inconscio, imprigionato in una stretta cella costruita, nel tempo, ammassando pregiudizi e luoghi comuni, tabù e paure infondate, paradigmi e riferimenti estranei, che non hanno fatto altro che renderci sempre più aridi ed allargare sempre più la frattura esistente tra quei due mondi. Ci siamo voluti convincere che solo uno di essi fosse giusto e necessario, mentre l’altro – frutto delle nostre fantasie – fosse inutile e sbagliato, ma non è così. Gli esseri umani non sono degli automi che debbono semplicemente esplicare delle attività e delle funzioni, c’è dell’altro ed è quello che i Topographies vogliono mettere in evidenza, tentando di distinguere tra bisogni e desideri e cercando di trovare un compromesso tra ciò che potremmo definire come necessario alla conservazione della specie umana e ciò che, invece, è necessario alla conservazione dell’umanità di ciascun individuo. Ed oggi come non mai, questo tema è divenuto di importanza fondamentale.
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