Il 2020 per la band americana ha visto l’uscita di 3 EP, a Gennaio, Giugno ed il 21 Dicembre, data del solstizio d’inverno: “The New Wet”, “The Pulsing Wet” ed infine “The Old Wet”. Vi è un unico filo tematico che tieni uniti i tre EP, supportato ed alimentato da sonorità cupe, claustrofobiche ed incisive, che è quello del cambiamento, il quale, rapportato all’esistenza umana ed al vissuto di ogni singola persona, indica tutta una serie di forze, di impulsi e di emozioni che agiscono sia dentro, che fuori di noi, sia a livello inconscio, che sul piano volontario nel quale si svolgono le nostre vite. Un piano che, quest’anno, è stato stravolto dagli eventi connessi alla pandemia mondiale, imponendoci scelte e trasformazioni che non avremmo mai pensato di dover compiere; sappiamo molto bene, dai tempi di Copernico, di non essere più il centro dell’universo, sappiamo, grazie alle opere ed alle ricerche di Darwin e Freud, che vi sono leggi che agiscono tanto a livello visibile, che invisibile, ma la recente crisi sanitaria, con le conseguenti crisi sociali, politiche ed economiche, ha reso nette ed evidenti le nostre debolezze ed i nostri limiti, nonostante tutta la tecnologia che pensavamo di possedere e con la quale credevamo, erroneamente, di poter risolvere qualsiasi problema.
In fondo, indipendentemente da ciò che possiamo fare, pensare, volere o tentare di impedire, indipendentemente da quelli che riteniamo essere dei principi assoluti, nel nostro universo è tutto mutevole e soggetto a cambiamenti e trasformazioni continue, le quali sono la base stessa della conservazione della vita, per cui non possiamo fare altro che accettare ed abbracciare ciò che avviene attorno a noi e dentro di noi.
Ed è questo, appunto, il tema focale di questo terzo EP. Infatti, mentre i primi due EP tentavano, invano, di costruire il proprio massiccio e robusto argine metallico dinanzi a questi cambiamenti, tentando di opporsi a qualsiasi trasformazione che l’essere umano non fosse in grado di controllare e di gestire, questo terzo EP non erige alcuna barriera, ma accetta in toto la fragilità e l’impotenza umane al cospetto di queste forze oscure, selvagge e primordiali, intrise di vita, ma anche di morte.
“The Old Wet”, però, non è una resa, è più una presa di coscienza; la consapevolezza ritrovata fa sì che questi elementi misteriosi penetrino e si diffondano nel background industrial rock e sludge metal dei Lament Cityscape, consentendo alla band di incamminarsi lungo sentieri diversi, più profondi e riflessivi. Sentieri che sono pervasi da atmosfere di matrice post-metal e dark; sonorità aliene, basse, estranianti ed ipnotiche, nelle quali lo stesso concetto di tempo si frammenta, si scioglie e perde qualsiasi importanza, mentre la fine e l’inizio, la vita e la morte, la forma e la sostanza, il conscio e l’inconscio diventano parte di un unico fiume che, nonostante i nostri dubbi e le domande a cui non sappiamo dare una risposta adeguata, ci attrae fortemente, per cui è impossibile non lasciarsi portare via con sé.
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