A volte sono dei droni che ci spiano dall’alto; a volte uomini muniti di lanciafiamme nascosti nell’ombra; a volte ci piacerebbe che ci fosse ancora il Ministero per la Sicurezza di Stato; a volte vorremmo solo avere un cane a tenerci compagnia; a volte è la Svizzera, a volte la Svezia, a volte la Germania; a volte chiunque abbia un po’ di “speranza” pensa di aver le qualità giuste per poter scrivere un libro, salvo poi esser costretto a fare una immediata e poco dignitosa retromarcia; a volte va bene qualsiasi sciagura, qualsiasi calamità, qualsiasi catastrofe, purché possa essere io il profeta mediatico di siffatte immani sventure e godermi il mio agognato quarto d’ora di celebrità virtuale.
Intanto Ebenezer Scrooge se la ride di gusto, nessuno spirito ci verrà a salvare, perché, in fondo, nelle nostre teste non è rimasto proprio nulla di buono da salvare. Persino quelle fate delle prugne zuccherate, le quali non facevano altro che spassarsela e ballare, sotto le note di “My Brain Is Hanging Upside Down” e “Somebody Put Something In My Drink”, ci hanno abbandonato e se ne sono andate via altrove. Probabilmente su Marte.
Ed è inutile che invochiamo Blitzen, Dasher, Cupid e tutte le altre renne. Rudolph non illuminerà più il nostro cammino, per cui non ci rimane che brancolare e destreggiarci nel buio della nostra peggiore politica, sperando che qualcuno metta davvero qualcosa di forte nel nostro Tanqueray e tonica.
Anche se, in verità, di pensieri scomposti, di visioni offuscate, di rivelazioni sconvolgenti e di una realtà che ti fa sentire, continuamente, inadatti, alieni, estranei e fuori posto, ne abbiamo davvero a iosa e non penso proprio possa esserci qualcosa che sia ancora in grado di confonderci, sballarci o farci andare fuori di testa. Il nostro cervello è già stato fatto a pezzi e Bonzo s’è dato da fare, ha prima sparso i pezzi ovunque – a Bitburg, lassù al Polo Nord, in una miriade di studi televisivi, al CTS, nel Bosco Atro – e ora sta tranquillamente sorseggiando la sua tazza di tè, ricordando i vecchi tempi, quelli di una politica estera degna di questo nome e di tutti quegli abbracci ipocriti che amavamo scambiarci sotto le feste. Tanto si sa che – per finta e per motivi di show business – siamo tutti fratelli, no?
Auguri.
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