Nell’era della comunicazione fluida, nella quale le diverse espressioni artistiche si ibridano e si diffondono attraverso gli svariati canali digitali a nostra disposizione, questo progetto scava nelle viscere più elettroniche e sperimentali di Bologna, una città che, da sempre, è particolarmente recettiva e desiderosa di approfondire e conoscere tutto ciò che sfugge all’occhio più canonico e convenzionale.
Ecco, dunque, che questa compilation, pubblicata da Slowth Records, nei suoi cinque brani costituenti, tenta di portare alla luce sonorità, visioni, composizioni, schemi e metodi, che, finora, erano, per lo più, rimasti nell’ombra. Nel frattempo, però, le menti avevano continuato, imperterrite, ad improvvisare, a strutturare e destrutturare, a plasmare e creare, nel cuore fertile e nascosto della città felsinea, guardando sia alla sua storia, al suo passato sociale, artistico e musicale, sia ad elementi e trame provenienti dal mondo circostante, soprattutto riconducibili ad una matrice techno, ambient, industrial e noise.
Tutto ciò si è fuso, dando vita a ambientazioni musicalmente omogenee, nelle quali l’elemento artificiale e quello robotico si sono uniti, alla perfezione, con quello umano e divino. Dietro l’apparente caos di “BIID Elisea”, infatti, si avverte la mano ferma delle Moire, il cui fuso continua a lavorare senza sosta, attraversando spazi, contenuti e materiali profondamente diversi tra loro, capaci, di conseguenza, di generare le differenti diffrazioni e colorazioni sonore di “Crac”.
Le note prendono forma nel cuore più buio della notte e si diffondono lentamente nell’aria, “Striature” è la figlia più diluita e leggera, quella che spezza i suoi legami terrestri e si diffonde, con grazia, nel vento, per poi generare il tocco leggero di una affettuosa carezza sulla nostra pelle. “Core” si adatta ad ogni forma che trova sulla sua strada, ad ogni nostra emozione e ad ogni nostro pensiero. Tutto ciò che era estraneo ed esterno diventa sempre più intimo e personale, penetra nel giardino che abbiamo dentro di noi, lo pervade tutto: “Un Giardino Improvviso” è il suono primordiale, naturale e familiare del nostro stesso cuore, dei battiti e dei respiri umani, fino a quando, terminato il viaggio, l’inesorabile Atropo non taglia, con le sue forbici, il filo del nostro destino.
Ma sarà sufficiente ritornare all’inizio del disco e tutto potrà cominciare ancora ed ancora.
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