Chi fa parte della working class? Quelli che lavorano in una fabbrica? Quelli che hanno un reddito basso? Quelli che vivono in affitto o in un alloggio sociale? I giovani precari? I pensionati al di sotto della soglia minima di sopravvivenza? Gli extra-comunitari?
Probabilmente tutti quelli che vengono masticati e poi sputati via da quel sistema economico che definiamo ancora come capitalista o neo-liberista. Uomini e donne, giovani e vecchi, che vivono, per lo più, una vita instabile e precaria; che spesso affrontano pregiudizi più o meno grandi e non hanno alcuna possibilità di influenzare le scelte politiche dello Stato in cui vivono. Un gruppo eterogeneo di persone che la classe o meglio l’élite dominante preferisce tenere divise, in contrasto e in concorrenza tra loro, acuendo le loro differenze etniche, sociali, religiose o geografiche, in maniera tale da poterle sfruttare e condizionare nel miglior modo possibile.
In questo contesto nasce quell’ibrido di punk, hip-hop ed elettronica minimale, del quale, ad esempio, gli Sleaford Mods o i Public Image Ltd, sono esempi di successo; un ibrido musicale che inveisce, critica e condanna questo sistema globale fatto di sussidi, tagli alla sanità e all’istruzione, droga, social-media, lavori precari e sovente insalubri e pericolosi, rispetto al quale i politici fanno il doppio o addirittura il triplo gioco, fingendo di non sapere cosa accade laddove i riflettori mediatici non arrivano o vengono tenuti colpevolmente spenti. Ed è in questi contesti, indipendentemente dalla latitudine e dalla longitudine, che la rabbia si mescola alla musica, che il rap e l’hip-hop si radicano nel post-punk elettronico, nelle sue sonorità viscerali, oscure, decadenti, corrosive, nostalgiche, incisive e soprattutto incazzate.
Sonorità essenziali che se ne fregano delle etichette politiche di destra o di sinistra; se ne fregano delle retoriche buoniste e politicamente corrette che, spesso, hanno lavorato proprio per i padroni e per i loro più intimi e cari amici; se ne fregano dei banali cliché e dei soliti luoghi comuni da cui siamo quotidianamente bombardati. Sonorità il cui fone è semplicemente mostrarci la realtà per ciò che è, senza l’arroganza di avere la soluzione o di poterti indicare la strada da seguire. C’è già parecchia gente, in fondo, che lo fa, fornendoti verità, immagini, storie, modelli accattivanti dietro le quali, invece, c’è solo l’obiettivo di utilizzarti come uno stupido burattino e fare soldi. I peggiori in questo circo sono proprio quelli che si richiamano alla working class ed a quelli che erano i suoi ideali e poi, magari, te li ritrovi candidati col partito di governo o a fare accordi sotto-banco per difendere quegli interessi economici che avevano giurato di voler combattere.
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