Lo choc epocale dovuto alla pandemia ed al conseguente lockdown ha reso il nostro futuro una porta stretta; una porta che ci condurrà ad un mondo nuovo; potrebbe essere l’occasione per costruire qualcosa di migliore, ma potremmo anche soccombere al rimpianto del passato o addirittura spingere, ancora di più, la nostra società, verso quelle dinamiche e quei meccanismi che generano solamente inequità e diseguaglianza, esclusione e povertà. Attraverso questa porta così angusta e misteriosa, i Wedge irrompono con audacia, tenacia e coraggio, spingendo, al di là della sua soglia oscura, le proprie sonorità psichedeliche, metalliche e stoner, un miscuglio ardente e blueseggiante di futuro e passato, il cui obiettivo primario è svegliarci dallo stato comatoso in cui siamo caduti, concedendo ad altri il controllo delle nostre esistenze, e spingerci ad agire, a rivendicare le nostre responsabilità, in primis quella di scrivere la nostra storia personale e collettiva.
Il glorioso passato heavy blues e hard rock degli anni Settanta si trasforma nel carburante emotivo e distorto per un motore moderno; un motore basato su riff e distorsioni, sconvolto dal nostro presente e concepito, nei suoi canoni estetici, nel suo messaggio poetico, nella sua corposità strumentale, per affrontare e conquistare il domani. Un domani che evolve e si trasforma in continuazione, che non possiamo e non dobbiamo mai dare per scontato e che abbiamo tutto il diritto di cambiare, se vogliamo, perché, in fondo, nulla è stato ancora deciso, nessun destino è stato già scritto e predefinito e, se ci crediamo, abbiamo tutto ciò che ci serve per spezzare quegli ingranaggi che ci vogliono supini e subalterni, impauriti e disillusi, convinti che il domani non possa che essere peggiore del presente.
Questa visione negativa delle cose non fa altro che renderci sempre più schivi e cattivi, intenzionati a salvaguardare un futuro che appartiene a qualcun altro; se siamo davvero convinti che questo futuro sia così negativo, perchè, allora, ci ostiniamo a difenderlo? Non sarebbe meglio rinunciare completamente ad esso ed ignorarlo, concentrandoci solo sul nostro presente, su chi sta peggio, su chi si sente messo da parte ed abbandonato a sé stesso? Magari, se vivessimo senza il pensiero fisso del domani, alla fine, scopriremmo che quella porta non è poi così stretta, che l’orizzonte non è poi così basso, che il futuro non è poi così ostile.
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