Un aspetto da seminarista timido e impacciato, un lupo che ama vestirsi da pecora per nascondere le proprie brame e la propria voracità politica: sottosegretario con i governi D’Alema II e Amato II, ministro con il Parlamento con il governo Letta, ministro – ahimè – dei beni culturali con i governi Renzi, Gentiloni, Conte II e dulcis in fundo Draghi.
Una presunta pecora, dunque, timida e fastidiosamente umile, che sotto, sotto ha ben altri istinti famelici e predatori, come dovrebbero ricordare piuttosto bene coloro che vivono nel mondo del teatro; la sua riforma fu soprattutto figlia dell’idea di canalizzare, limitare e controllare le risorse economiche destinate al settore, senza alcun criterio di tipo qualitativo, destinandole soprattutto a soggetti scelti in maniera arbitraria da una presunta commissione tecnica, non eletta da nessuno e spesso in evidente conflitto d’interessi con la materia sulla quale era chiamata a decidere.
Un modo di agire profondamente massonico, elitario ed oligarchico, quello di riunirsi in stanze oscure, lontani dagli occhi delle persone comuni e poter decidere e deliberare a proprio piacimento, in modo da perseguire i propri obiettivi personali, da elargire favori e chiederne poi altri, da difendere i soliti potenti ed i loro interessi economici.
Qualcosa che, oggi, grazie, purtroppo, alla pandemia, è diventato la norma, senza più il bisogno di nascondere o negare. Un modo di governare equivoco e meschino che è stato riprodotto su larga scala, in qualsiasi campo, e che ha consentito ad un’armata di camaleonti politici di nominare i propri servizievoli e spesso collusi comitati d’esperti, di riunirsi nell’ombra e fare il bello ed il cattivo tempo, decidendo le sorti, le fortune e l’avvenire di milioni di persone.
Sono questi gli uomini e le donne di potere; creature dotate di una corazza così spessa da attraversare le diverse ere politiche, ignorando proteste e lamentele e bacchettando, come bambini viziati ed egoisti, tutti coloro che tentano di dissentire, di avanzare proposte differenti, di evidenziare quelle che sono le proprie reali difficoltà.
Ma come potrebbe, se non avesse appoggi e complicità esterne, un politico di lunga data, un più volte ministro dei beni culturali, prenderci così chiaramente per il culo? Come si può blaterare di “ripartenza” del mondo dello spettacolo, quando è sotto gli occhi di tutti che la musica, in Italia, è, letteralmente, stata sepolta viva? È evidente che il ministro si riferisca ad altro, a ciò che egli ha veramente a cuore: agli accordi con le grandi multinazionali dello streaming, ai probabili ritorni che essi avranno per le sue disparate carriere, a tutto ciò che può essere ricondotto e gettato nel calderone delle remunerative e assuefacenti spettacolarizzazioni nazional-televisive, ai tanti utili e sottomessi avvoltoi e sciacalli sempre ben disposti a depredare le carcasse di ciò che un tempo erano luoghi, eventi, strutture, persone ed idee avulse al sistema dominante.
Oggi viviamo di ricordi, ma facciamo i conti con l’assenza; l’assenza di un vero ministro, l’assenza di un progetto solido, l’assenza di un piano di rilancio, l’assenza di futuro, l’assenza di un palco, l’assenza di umanità, l’assenza di empatia verso tutti coloro che vivono di musica, con la musica e per la musica e che chiedono, invano, solamente di essere ascoltati e di poter essere messi nelle condizioni di vivere, lavorare, esistere ed esprimersi in maniera dignitosa.
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