Silenzio. Rumore. Un’immersione ad occhi aperti tra le scintillanti trame strumentali dei Mogwai, il ritrovarsi in una chiesa del Worcestershire, mentre il pianeta sembra, ogni giorno che passa, più vicino al collasso definitivo; mentre gli ultimi barlumi di un amore brutale, indomito, irrazionale vengono scolpiti, per sempre, a futura memoria, lungo i solchi di un vinile. La band britannica vaga in una dimensione aliena e sottomarina, ai confini tra il sonno e la veglia, lasciando che le proprie progressioni sonore – come un sonar – ricostruiscano le forme e le strutture di quel mondo straordinario e fantastico, come solo i mondi di confine e le esperienze capaci di superare il limite materiale delle nostre percezioni fisiche possono esserlo.
Il disco si apre con un malinconico flusso di coscienza che prende immediatamente fuoco, consentendo al calore umano di assumere il sopravvento sulla nostalgia e sullo sconforto, prima che “Dry Fantasy” porti in primo piano le sonorità artificiali ed atemporali dei sintonizzatori, la voce digitale della nostra società in precario equilibrio tra condanna e redenzione, tra agognata salvezza e meritata dannazione. Ma intanto il tempo scorre e prima che, davvero, tutto passi e nulla abbia più importanza, come ci suggerisce – in una delle sue rare apparizioni verbali – Stuart Braithwaite, è giunto il momento di scegliere cosa vogliamo essere, cosa vogliamo costruire, cosa vogliamo lasciare a coloro che verranno dopo di noi.
I Mogwai, comunque, sembrano propendere per una visione ottimistica del futuro, fiduciosi del fatto che, alla fine, quando saremo con le spalle al muro, riusciremo a prendere la decisione giusta e salvare quella che è l’unica vera nostra casa comune. Intanto momenti più eterei e riflessivi, ispirati alla natura selvaggia ed incontaminata, si alternano con passaggi elettronici e cinematografici ed altri che, invece, urlano di passione, umanità e fragorose e martellanti chitarre. Varietà e libertà espressiva che ci arricchiscono e che ci rammentano, se ce ne fosse ancora bisogno, come la diversità, l’apertura ad altre esperienze, visioni e conoscenze non sia affatto un segno di debolezza o di rinuncia, ma, anzi, sia l’esatto contrario; essa ci salverà da quell’impoverimento e quella prevedibilità che finirebbero per svuotare ed impoverire la nostra creatività e la nostra fantasia, permettendo all’amore di rinnovarsi all’infinito.
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