Stanze silenziose fanno da contorno a gesti ed azioni abitudinarie, mentre il tempo sembra aver perso ogni riferimento, è come se fosse stato congelato, per sempre, in una fotografia. Esistono solamente un prima ed un dopo ed una terribile pandemia a separarli e distinguerli; il futuro è stato sospeso, ridotto ad una sorta di perenne ed immutabile presente. Lo spazio tra gli 88 tasti dei nostri pianoforti interiori sembra allargarsi sempre di più, riempirsi sempre più di paura, ansia ed insicurezza, condannandoci a rinunciare a qualsiasi sogno, a qualsiasi progetto, a qualsiasi scoperta. L’unico modo per non sprofondare del tutto nell’alienazione e nella follia è quello di aggrapparsi alle piccole cose, le cose meno appariscenti, quelle che ci consentono di sentirci ancora vivi, capaci di poter trasmettere le nostre emozioni agli altri, anche se essi, adesso, sono lontani; anche se non possiamo più vederli; se non possiamo più abbracciarli o semplicemente toccarli; anche se non possiamo più sentire il rumore dei loro passi in queste stanze vuote.
Da ciò nascono questi quattordici brani di pianoforte, da quei profumi e quei sapori che ci sono stati negati, da quei contatti fisici a cui abbiamo dovuto rinunciare. Canzoni pervase dalla malinconia, che sembrano quasi dei sussurri, delle parole appena accennate, la cui leggerezza, però, fa sì che esse possano attraversare il vuoto che ci separa, che possano costruire quei ponti emotivi che ci fanno sentire meno soli e che ci ricordano ciò che eravamo, ciò che avevamo e che dobbiamo, a qualsiasi costo, sopportando qualsiasi sacrificio, assolutamente, riconquistare.
In questa dolcezza sussurrata si concentra tutta l’energia e la forza del mondo, quella in grado di ricaricarci, quella che non ci lascia soccombere ai mostri che si nutrono di assenza, quella che ci mantiene sani nel corpo e nello spirito. Le musiche composte da Akira Kosemura sono il frutto di un processo interiore il cui obiettivo è preservare intatta la nostra umanità; un processo catartico che ci aiuta ad accettare queste esperienze estremamente negative: la malattia, la sofferenza, la morte. Queste elaborazioni sono proprie di ciascuno di noi: dell’Akira uomo, dell’Akira artista, di ogni singolo ascoltatore e ci permettono di sentirci meno abbandonati, meno tristi, meno vuoti; ci permettono di solidarizzare, di mantenere vive le nostre passioni, di farci reciproco coraggio e quindi di fare fonte comune – qualsiasi sia il nostro paese, la nostra lingua, la nostra cultura, le nostre usanze o le nostre tradizioni – contro un medesimo nemico, un nemico che solamente così possiamo davvero sconfiggere.
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